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Ultimo aggiornamento: 15:34 del 23 Settembre

Gaza, da Genova 300 tonnellate di aiuti: “Le barche della Flotilla proveranno via mare, noi via terra dalla Giordania”

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Da Genova a Gaza, 300 tonnellate di aiuti per forzare l’assedio. La “missione via terra” si muove in coordinamento con la Global Sumud Flotilla. “Le barche passeranno via mare, noi proveremo dal confine con la Giordania: sarà una mossa a tenaglia per rompere l’assedio”. Dopo settimane a bordo della missione umanitaria di interposizione nonviolenta Global Sumud Flotilla, il presidente di Music for Peace, Stefano Rebora, è rientrato nei giorni scorsi a Genova per guidare un secondo fronte: un convoglio via terra con circa 300 tonnellate di aiuti diretti alla popolazione della Striscia.
La raccolta è cominciata mesi fa nel capoluogo ligure, su appello dell’organizzazione non governativa e del Calp. L’obiettivo iniziale era raccogliere 40 tonnellate di beni di prima necessità. Ne sono arrivate quasi 500: abiti, cibo, farmaci, materiale igienico e sanitario donati da migliaia di persone. Una parte è stata destinata alla missione in Sudan, un’altra a famiglie in difficoltà seguite a Genova. Due container sono stati imbarcati sulle barche della Flotilla. Il blocco principale – circa 300 tonnellate – si muoverà ora via terra, verso la frontiera giordano-israeliana.
“Si tratta di un carico raccolto a nome della Global Sumud Flotilla – spiega Rebora –. Per rispetto verso chi ha donato per Gaza, sentiamo il dovere di tentare in tutti i modi di far arrivare lì il maggior quantitativo di aiuti possibile”. Negli ultimi mesi è diventato impossibile proseguire le carovane che l’organizzazione portava avanti da anni, consegnando gli aiuti casa per casa nella Striscia. Ma ora, grazie alla pressione mediatica e politica generata dalla missione coordinata via mare, c’è la speranza di riaprire un varco: “Anche attraverso pressioni diplomatiche e trattative – aggiunge – se il governo israeliano cercherà di bloccarci”.
La missione di terra si svolgerà in parallelo alla navigazione della Flotilla, che nelle prossime ore tenterà di raggiungere le coste di Gaza violando il blocco navale imposto da Israele da oltre 15 anni. L’azione combinata mira a sollecitare una riapertura dei corridoi umanitari, oggi praticamente sigillati. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), meno del 15% degli aiuti che venivano autorizzati prima del 7 ottobre riesce oggi a entrare nella Striscia. Il Programma alimentare mondiale stima oltre un milione di persone in condizione di fame estrema. Anche questa parte della missione è dichiaratamente pacifica e nonviolenta. Gli organizzatori la definiscono “un’azione umanitaria conforme al diritto internazionale”, ricordando che – secondo le disposizioni provvisorie della Corte internazionale di giustizia – “nessuno Stato può ostacolare l’ingresso di aiuti in aree colpite da accuse formali di genocidio”. Una di queste è proprio Gaza, al centro del procedimento avviato dal Sudafrica con il sostegno di Brasile, Spagna, Irlanda e altri Paesi.
La propaganda incessante del governo di Netanyahu continua nel tentativo di delegittimazione della missione. La Flotilla viene definita “una minaccia” e alcuni dei suoi partecipanti descritti come “vicini ad Hamas”, salvo poi proporre con un comunicato – nelle ultime ore – di attraccare al porto turistico di Ashkelon per “consegnare” gli aiuti tramite le autorità israeliane. “Non ci crede nessuno – ha risposto il portavoce Thiago Ávila – Lo dicono da diciassette anni, e nel frattempo hanno affamato migliaia di bambini. È una mossa per disinnescare il significato politico della nostra presenza”. Nelle ultime settimane anche in Italia si sono moltiplicate manifestazioni a sostegno della missione, chiedendo al governo una posizione chiara. “Altri Paesi hanno preso le distanze, chiediamo che anche il nostro lo faccia – ribadisce Rebora –. Le manifestazioni di questi giorni rafforzano entrambi i convogli, via mare e via terra. L’Italia non può continuare a voltarsi dall’altra parte”. A inizio ottobre, dalla sede genovese dell’associazione partiranno i camion diretti al confine con la Giordania. Più percorribile rispetto alla rotta via mare, la strada resta comunque incerta. Anche via terra, sarà una trattativa difficile.

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