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Ilva, nuovo colpo di scena: aumenta la richiesta di cassa integrazione. “Serve per 4.450 dipendenti”

Acciaierie d'Italia aumenta la richiesta di dipendenti in cassa integrazione: quasi il 50% in più rispetto a quelli ora autorizzati: "Poca produzione, insufficiente a reggere i costi di esercizio"
Ilva, nuovo colpo di scena: aumenta la richiesta di cassa integrazione. “Serve per 4.450 dipendenti”
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Sei rinvii, poi l’anticipo e ora un nuovo colpo di scena: la procedura per la richiesta di incremento della cassa integrazione per l’Ilva è una storia senza fine. Che diventa sempre peggiore. La vicenda è in ballo dal 12 giugno, quando Acciaierie d’Italia – gestore dello stabilimento e in amministrazione straordinaria – aveva chiesto di aumentare il numero dei dipendenti in cassa portandoli dai 3.062 autorizzati a marzo a 4.050 a causa – questa la motivazione dei commissari – del sequestro dell’altoforno 1 in seguito all’incendio di maggio, senza mai citare il problema a monte della mancata ripartenza di Afo2 rispetto al cronoprogramma.

Poi la procedura è rimasta bloccata per mesi, in un susseguirsi di rinvii degli incontri al ministero del Lavoro tra azienda e sindacati. Alla fine, negli scorsi giorni, il governo ha deciso di anticipare il confronto dal 30 al 18 settembre. Ora, alla vigilia del tavolo, l’ennesima doccia fredda: Acciaierie d’Italia ha presentato un’istanza di modifica della richiesta della cassa integrazione che prevede l’aumento a 4.450 dipendenti. Quattrocento persone in più di quante ne aveva richieste a giugno, un aumento di circa 1.400 rispetto a quelle attualmente autorizzate. In pratica, quasi il 50% in più.

“La richiesta di incremento dell’intervento dell’ammortizzatore sociale in essere è funzionale a controbilanciare l’aggravarsi dello squilibrio dei fattori produttivi – si legge nel documento dell’azienda – Nello specifico, a fronte di un organico complessivo pressoché stabile (9.741 unità), lo stabilimento di Taranto e le unità produttive a valle dello stesso, marciano con assetto che – all’attuale e nel medio termine – risulta essere contraddistinto e condizionato da una produzione di ghisa gravemente insufficiente ed incoerente con i costi di esercizio e gestione”.

A essere duramente colpito è, ovviamente, il sito di Taranto. Tra i lavoratori dell’acciaieria jonica sono previste 3.803 unità in cassa integrazione su 7.938 dipendenti. Il tutto mentre il governo si appresta ad annunciare quali sono state le manifestazioni di interesse giunte nell’ambito dell’aggiornamento del bando di gara del complesso industriale. Dalla corsa è scomparsa Baku Steel, la società azera con la quale a marzo era stato intavolato un negoziato incagliatosi per ragioni finanziarie ed economiche. Ora, stando a quanto filtra, sarebbero alla finestra solo la compagnia indiana Jindal Steel e il fondo d’investimento statunitense Bedrock Industries, oltre ad alcune compagnie italiane, a iniziare da Marcegaglia. Con l’ipotesi “spezzatino” degli stabilimenti che è sempre più concreta.

I termini del bando sono stati allungati mentre tra i sindacati serpeggia sempre più nervosismo “alla luce di un quadro di sempre maggiori criticità e incertezze”, scrivevano venerdì i segretari generali di Fim-Fiom-Uilm, Ferdinando Uliano, Michele De Palma, Rocco Palombella, in una lettera al governo per richiedere un incontro “urgente” sulla vertenza alla Presidenza del Consiglio con al centro il piano di salvataggio, la decarbonizzazione e il continuo rinvio del bando di gara “senza alcuna spiegazione valida e preventiva” temendo “drammatici effetti sociali ed occupazionali”.

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