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A processo otto “hater” della senatrice Liliana Segre, il gip scrisse che “accusarla di nazismo era uno sfregio alla verità”

Il giudice, infatti, aveva ordinato alla Procura di identificare, con nuovi accertamenti, le persone che si nascondevano dietro ad 86 account, di iscriverne nove che erano state individuate ma non indagate
A processo otto “hater” della senatrice Liliana Segre, il gip scrisse che “accusarla di nazismo era uno sfregio alla verità”
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Saranno processati otto “hater” che sui social hanno insultato Liliana Segre, senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah e sotto scorta da anni. Sono stati rinviati a giudizio, con citazione diretta a giudizio da parte della Procura di Milano. La prima udienza è fissata, davanti al Tribunale milanese, per il 19 febbraio del prossimo anno. Si tratta di uno dei filoni della maxi inchiesta coordinata dal pm Nicola Rossato e che, lo scorso aprile, era passata anche per la decisione del gip Alberto Carboni, dopo le istanze di opposizione alle archiviazioni dell’avvocato di Segre, Vincenzo Saponara.

Il giudice, infatti, aveva ordinato alla Procura di identificare, con nuovi accertamenti, le persone che si nascondevano dietro ad 86 account, di iscriverne nove che erano state individuate ma non indagate, tra cui anche Nicola Barreca, che all’epoca era segretario cittadino della Lega a Reggio Calabria. In più, aveva stabilito che il pm doveva formulare l’imputazione coatta, ossia il decreto di citazione diretta a giudizio mandando a processo altri sette indagati. Lo stesso pm, qualche mese prima, aveva chiuso le indagini per la citazione a giudizio, ma solo nei confronti di dodici persone, tra cui No vax e Pro Pal.

Ora, nell’ambito di questa maxi indagine, è stato mandato a giudizio il primo filone che riguarda otto imputati. Nel suo provvedimento, tra le altre cose, il gip aveva fatto presente che accusare “di nazismo”, come emerso da molti messaggi sul web, “una reduce dai campi di sterminio” è diffamazione aggravata dalla finalità discriminatoria, ossia dall’odio razziale, perché è “uno sfregio alla verità oggettiva” e “la più infamante delle offese per la reputazione di chi ha speso la propria vita per testimoniare gli orrori del regime e per coltivare la memoria dell’Olocausto”.

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