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Parchi marini in difficoltà economiche: il futuro dei cetacei in cattività va immaginato tra scienza e etica

Un tempo giustificate dall’obiettivo educativo di rendere accessibili specie che mai si sarebbero potute vedere da vicino, queste strutture stanno vivendo una fase critica
Parchi marini in difficoltà economiche: il futuro dei cetacei in cattività va immaginato tra scienza e etica
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Di Marevivo

Possiamo dire di amare davvero le creature che teniamo imprigionate? Cattività deriva dal latino captivus (prigioniero) e indica la condizione di chi è tenuto prigioniero. Per decenni orche e delfini sono stati protagonisti nei parchi marini di tutto il mondo, con spettacoli che ne hanno messo in evidenza la straordinaria intelligenza e capacità di apprendimento.

Parchi marini e delfinari, un tempo giustificati dall’obiettivo educativo di rendere accessibili specie che mai si sarebbero potute vedere da vicino, stanno vivendo una fase critica. Sempre più finalizzati all’intrattenimento e sempre meno all’aspetto educativo, la loro immagine è cambiata in modo radicale. Studi scientifici e provvedimenti legislativi stanno mettendo in discussione la cattività dei cetacei, ponendo al centro il benessere animale e facendo emergere implicazioni etiche ed ecologiche ineludibili.

Emblematica nel 2025 la chiusura di Marineland Antibes, il più grande parco marino d’Europa. Dopo decenni di attività, la struttura ha dovuto chiudere i battenti per difficoltà economiche, drastico calo di visitatori e normative sempre più stringenti. La Francia, infatti, ha approvato nel 2021 una legge che vieta spettacoli, riproduzione e nuove acquisizioni di cetacei a partire dal 2026. In Europa la sensibilità pubblica ha spinto diversi Paesi a intervenire: in Grecia, Cipro, Slovenia e Croazia la detenzione di cetacei a fini commerciali è vietata, in Gran Bretagna i delfinari sono stati chiusi, in Italia dal 2019 è vietato il nuoto con i delfini. L’UE, pur senza un bando generale come in Canada, ha aderito a convenzioni internazionali come ACCOBAMS e CITES, che proteggono i cetacei e limitano commercio e cattura, e ha introdotto strumenti come la Direttiva Habitat, che tutela habitat e specie d’interesse comunitario con la rete Natura 2000, e la Direttiva Zoo, che regola la gestione degli zoo per garantire conservazione, benessere animale ed educazione del pubblico.

Dal 2021 linee guida europee chiariscono l’applicazione delle norme sulla cattività e rafforzano i controlli. Il Parlamento europeo ha approvato risoluzioni che promuovono alternative educative ai delfinari come realtà virtuale o whale watching responsabile. Ne risulta un quadro normativo già molto stringente, che riconosce i cetacei come specie prioritarie da tutelare.

La ricerca scientifica ha accumulato dati consistenti. I cetacei, orche e delfini su tutti, sono animali estremamente intelligenti e sociali, dotati di straordinarie capacità cognitive: riconoscono sé stessi allo specchio, comunicano con un complesso sistema di vocalizzazioni e ogni gruppo (pod) utilizza un proprio “dialetto”, sviluppano strategie cooperative e hanno legami sociali che durano decenni. In natura nuotano decine di chilometri al giorno anche raggiungendo velocità di 50 km/h, immersi in ambienti ricchi di stimoli, nei gruppi sociali di appartenenza. In vasca, però, la loro esistenza si riduce a spazi artificiali che sono una frazione infinitesimale delle distanze che percorrono in natura ogni giorno, dove soffrono non solo la limitazione fisica ma anche una forte deprivazione ambientale. Sono frequenti le patologie oculari e cutanee dovute all’acqua clorata, i danni all’udito a causa del rumore di filtri e musica, e disturbi di tipo comportamentale come nuoto ossessivo, apatia e aggressività. La progettazione delle strutture, orientata più alle esigenze del pubblico che a quelle degli ospiti marini e la carenza di stimoli portano a sofferenza, stereotipie, stress cronico, diminuzione dell’aspettativa di vita.

Marineland Antibes ha chiuso, ma la sorte delle due orche Wikie e Keijo e di una dozzina di delfini resta incerta. Spostarli in altri parchi significherebbe perpetuarne la cattività, mentre i santuari marini, pur più etici, sono ancora rari e costosi.

Rimettere in mare animali cresciuti in vasca è quasi impossibile: molti non sanno più cacciare, hanno perso abilità sociali o presentano rischi sanitari. Per questo l’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) invita alla prudenza: ogni rilascio va valutato caso per caso. Più realistici sono i santuari marini, ampie baie recintate con acqua naturale, arricchimento ambientale e cure veterinarie. Esperienze già avviate, dall’Islanda al Mediterraneo, mostrano che alternative alla cattività esistono. I cetacei sono esseri senzienti, e la crisi dei parchi marini riporta al centro il rispetto della loro vita e dignità.

Marineland segna un punto di svolta. Non si tratta solo di chiudere strutture, ma di immaginare un futuro in cui l’educazione al mare passi per documentari, realtà virtuale, whale watching responsabile e santuari etici, non per spettacoli in vasca. I dati scientifici ci dicono che orche e delfini non sono attrazioni, hanno bisogno di oceani, non di piscine. L’etica e l’ecologia ci chiedono di agire di conseguenza.

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