Agosto in Basilicata: l’illusione della festa, la realtà dell’abbandono
di Francesco Canosa
Franco Arminio, poeta, scrittore e organizzatore del festival La Luna e i Calanchi di Aliano, scrive che “i paesi si salvano con gli occhi, prima bisogna guardarli come un uomo giovane guarda una donna bellissima”.
Eppure, per quanto provi a guardare i paesi della Basilicata, della Lucania e del Sud, io non riesco a percepirli così.
Nella mia mente, la Lucania è una Madre anziana: generosa, pittoresca, abbandonata. Vive sottoposta a una stagionalità che la riempie solo due o tre volte all’anno. Eppure resta sempre pronta a donare amore, ai figli e non. Come ogni madre, dà più di quanto riceve. E come ogni madre, perdona persino i figli che la tradiscono e la fanno soffrire.
Fa sorridere che i figli peggiori siano proprio i più illustri e potenti: quella classe dirigente politica, di ogni colore e bandiera, che da sempre relega la Basilicata alla marginalità e costringe i suoi abitanti all’emigrazione.
Gli stessi politici che, quando la Madre riesce a ricongiungersi con i propri figli emigrati nella grande festa collettiva dell’agosto lucano, si vestono di fasce tricolori e sfilano nelle processioni come se volessero ricambiare l’amore della loro terra. È una recita. In realtà sono proprio loro a sacrificarla, per interessi personali o incapacità.
Così, finite le feste patronali, i festival estivi e gli eventi organizzati con sacrificio dalle associazioni locali, resta il vuoto. Una regione poverissima dal punto di vista economico e sociale, dove strumenti come il Pnrr, la Strategia Nazionale per le Aree Interne o il credito d’imposta della Zes unica appaiono più come palliativi che come soluzioni definitive.
Per chi ama la propria terra e vuole restare o tornare, le strade sono poche. Una è la Pubblica Amministrazione: una delle poche scialuppe di salvataggio, ma anche — ancora oggi — l’eldorado del clientelismo. A titolo di esempio, secondo i dati ufficiali, la Regione Basilicata conta 938 dipendenti e ben 824 collaboratori esterni. In pratica, un dipendente su due è esterno, assunto senza concorso e funzionale al consenso politico.
A ingannare ulteriormente la percezione del Meridione contribuisce la narrazione degli ultimi anni sui social. Il Sud viene raccontato come un luogo mitico: foto e video sui social che celebrano la vita lenta, i borghi rurali, l’autenticità perduta. Ma dietro questa retorica rischia di restare solo folklore. La romanticizzazione del Sud trasforma i problemi strutturali in immagini da cartolina. Le persone che lo amano non chiedono altro che una possibilità di realizzarsi nella propria terra, a modo loro. Cercano di ricambiare almeno un poco dell’amore che la loro Madre ha sempre donato.