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In Italia si racconta la Palestina senza le voci dei palestinesi: la stampa vive sul sentito dire

I quotidiani sono troppo impegnati a strapagare vecchi dinosauri che non lasciano spazio ai giovani
In Italia si racconta la Palestina senza le voci dei palestinesi: la stampa vive sul sentito dire
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Raccontiamo la Palestina senza le voci dei palestinesi. Salvo pochi angoli, come questo giornale che dà spazio alla voce di Aya Ashour, palestinese, giornalista suo malgrado, il resto della stampa nazionale vive sul sentito dire.

Parlano i famosi esperti, quelli riciclati da altri e tanti conflitti, che hanno fatto della disgrazia altrui la propria professione. Non ci sono palestinesi, sui giornali italiani, a raccontarci quello che succede. I motivi sono molteplici. Il primo è il campanilismo dei quotidiani, troppo impegnati a guardare il loro orticello. Il secondo, i fondi: siamo troppo impegnati a strapagare vecchi dinosauri che non lasciano spazio ai giovani e le monetine vanno ai giovani. Il terzo, forse più emblematico, è l’idea che gli esteri non contino, ma è quello che accade intorno a noi ad avere una influenza sul nostro mondo e vita quotidiana.

Poi, ovviamente, l’Italia vive di “giornalisti star”: quelli che vanno nei conflitti degli altri e da lì raccontano la loro vita quotidiana, quanto soffrono per le vittime mentre la sera sono in hotel a farsi una sauna. Più voci palestinesi servono, più voci di chi in quei conflitti è coinvolto. Perché il mondo è molto complicato e non può essere diviso con categorie inventate in un talk show.

Dare voce ai palestinesi in Italia ci aiuta a mantenere la luce accesa in un conflitto in cui, si è visto, i giornalisti vengono assassinati come solo la mafia di Stato sa fare.

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