Dazi, c’è la dichiarazione congiunta Usa-Ue: “15% anche su auto, farma e chip”. Lo smacco: nessuna esenzione per il vino
A 25 giorni dall’accordo politico raggiunto da Ursula von der Leyen e dal presidente Donald Trump a fine luglio, l’Ue e gli Stati Uniti ce l’hanno fatta a stilare una dichiarazione congiunta sui dazi. Il testo prevede come da attese un’aliquota tariffaria massima e onnicomprensiva del 15% per la maggior parte delle esportazioni dell’Ue. Compresi “settori strategici come automobili, prodotti farmaceutici, semiconduttori e legname”. Von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa rivendicano la bontà dell’accordo sottolineando che garantisce “prevedibilità”, “sicurezza” e “stabilità”. Conquistate però a caro prezzo: in cambio di dazi “solo” al 15% – altro che lo “zero per zero” su cui Bruxelles puntava all’inizio del negoziato – i Ventisette si impegnano ad acquistare dagli Stati Uniti gas naturale liquefatto, petrolio e prodotti per l’energia nucleare per 750 miliardi di dollari di qui al 2028 e “aumentare sostanzialmente l’approvvigionamento di equipaggiamenti militari e di difesa” dagli Stati Uniti.
Per l’auto si scende al 15%, salvi i farmaci generici
L’accordo, che sospende dal 7 agosto le contromisure europee decise il 24 luglio, deve ora essere tradotto in atti concreti dalla Commissione con gli Stati membri e il Parlamento europeo. La Germania porta a casa una mezza vittoria sul cruciale settore automobilistico, visto che dopo lunghe trattative gli Usa hanno accettato di ridurre gli attuali dazi del 27,5% su auto e componentistica che stanno mettendo in grossa difficoltà i produttori. Ma la tariffa scenderà al 15% solo dopo l’avvio da parte di Bruxelles delle promesse riduzioni tariffarie sui prodotti americani. L’intenzione della Commissione Ue è sbrigare la pratica a strettissimo giro: il processo sarà avviato entro fine mese, ha detto il commissario al Commercio Maros Sefcovic, che ha avuto assicurazioni sul fatto che “in questo caso, il dazio del 15% si applicherebbe retroattivamente dal 1° agosto”.
Dal 1° settembre, inoltre, alcuni gruppi di beni saranno “salvi”: si tratta di aerei e loro parti, farmaci generici e precursori chimici e sughero, che saranno sottoposti alle sole tariffe previste dal principio della nazione più favorita (‘Npf’), quello secondo cui uno Stato membro dell’Organizzazione mondiale del commercio non può discriminare tra i suoi partner commerciali. Vale a dire che verranno applicati dazi bassissimi o nulli.
Nessuna esenzione per il vino
Nessuna esenzione, al contrario, per quanto riguarda vino, birra e superalcolici: uno smacco soprattutto per l’Italia e la Francia, grandi produttori che da mesi spingevano per ottenere un salvacondotto. Gli alcolici “erano uno degli interessi più importanti dell’Unione Europea. Purtroppo, non siamo riusciti a inserire questo settore tra quelli che continuerebbero a essere a livello ‘Npf'”, ha ammesso Sefcovic in conferenza stampa. Ma “le porte non sono chiuse per sempre”, ha aggiunto. Vale a dire che si lavorerà per inserire anche quel comparto nella lista dei prodotti soggetti alle sole tariffe della nazione più favorita. Palazzo Chigi fa buon viso a cattivo gioco, facendo sapere che il governo “resta impegnato, insieme alla Commissione e agli altri Stati membri, per incrementare ulteriormente nei prossimi mesi, come previsto dalla dichiarazione congiunta, i settori merceologici esenti, a partire dall’agroalimentare”.
Gli Usa: “Accesso preferenziale per i nostri prodotti agricoli”
Sul possibile ampliamento di quell’elenco concorda anche il comunicato della Casa Bianca, che però vede come primo “punto chiave” – non a caso – gli impegni della Ue. Che per prima cosa “intende eliminare i dazi su tutti i prodotti industriali statunitensi e garantire un accesso preferenziale al mercato per un’ampia gamma di prodotti ittici e agricoli statunitensi, tra cui frutta a guscio, latticini, frutta e verdura fresca e trasformata, alimenti trasformati, semi per piante, olio di soia e carne di maiale e bisonte”, oltre a dare libero accesso agli “astici” in arrivo dagli Usa. Sul fronte tecnologico, acquisterà chip per intelligenza artificiale per almeno 40 miliardi di dollari per i propri centri di calcolo e “prevede di collaborare con gli Stati Uniti per adottare e mantenere requisiti di sicurezza tecnologica in linea con quelli degli Stati Uniti”.
L’impegno Ue ad acquistare armi e investire 600 miliardi negli Usa
In aggiunta, i Ventisette compreranno molte più armi Usa, un impegno che per la Casa Bianca “riflette una priorità strategica condivisa: approfondire la cooperazione industriale transatlantica in materia di difesa, rafforzare l’interoperabilità della NATO e garantire che gli alleati europei siano dotati delle tecnologie di difesa più avanzate e affidabili disponibili”. Non basta: nonostante von der Leyen avesse spiegato che l’accordo su questo punto non era vincolante, secondo Washington le imprese Ue “investiranno ulteriori 600 miliardi di dollari in settori strategici negli Stati Uniti entro il 2028″ a riprova del “forte impegno dell’Unione Europea nei confronti del partenariato transatlantico e il suo riconoscimento degli Stati Uniti come la destinazione più sicura e innovativa per gli investimenti esteri”.
La dichiarazione affronta anche la questione dell’acciaio e dell’alluminio, impegnando le due sponde dell’Atlantico a difendere le rispettive economie dalla sovracapacità globale e a rafforzare la sicurezza delle catene di approvvigionamento, anche tramite un sistema di contingentamento tariffario per i metalli e i loro derivati. Una dichiarazione di principio da riempire di contenuto.
Le leggi su Big tech? “Fuori dal negoziato”
Quanto alle tensioni con Washington sull’applicazione di Digital Market Act e Digital Service Act, che secondo indiscrezioni hanno rallentato la stesura del testo comunque, Sefcovic ha detto che le questioni sono state “tenute fuori dai negoziati commerciali”. Ma “l’autonomia normativa è assolutamente importante”, ha aggiunto, “questa è stata la nostra posizione dall’inizio alla fine di questa dichiarazione congiunta”. Alcuni passaggi del comunicato della Casa Bianca rivelano però la disponibilità del Vecchio continente ad interpretare l'”autonomia normativa” con una certa elasticità: l’Unione si impegna per esempio a non adottare tariffe per l’utilizzo della rete, a garantire ancora più “flessibilità” nell’attuazione della cosiddetta Carbon tax alla frontiera e “lavorare per rispondere alle preoccupazioni dei produttori e degli esportatori statunitensi in merito al regolamento Ue sulla deforestazione, al fine di evitare un impatto eccessivo sul commercio tra Stati Uniti e Ue”. Il regolamento, che avrebbe dovuto entrare in vigore lo scorso anno ma è stato rinviato a fine 2025, vieta la commercializzazione nell’Unione europea di prodotti come cacao, caffè, soia, olio di palma, legno e carne bovina se provengono da terreni deforestati dopo il dicembre 2020.
Le reazioni italiane: opposizioni all’attacco di Meloni
In Italia Coldiretti e Confagricoltura paventano gravi conseguenze se l’agroalimentare non sarà esentato. Le associazioni dei consumatori paventano rincari in bolletta perché il Gnl statunitense ha prezzi più elevati rispetto a quello degli attuali fornitori. E le opposizioni attaccano il governo. “Prova a spacciare per un successo quella che, nei fatti, è una resa dell’Europa agli interessi di Donald Trump”, dice il vicepresidente M5s Mario Turco. “L’Italia esce tra i grandi sconfitti: il comparto agroalimentare – che vale oltre 64 miliardi di export nel 2024 e rappresenta un’eccellenza del Made in Italy – è rimasto escluso dalle esenzioni”. Sulla stessa linea Antonio Misiani, responsabile economico del Partito democratico: “Per l’Italia il risultato è chiaramente sbilanciato e rischia di tradursi in un danno serio alle nostre imprese esportatrici. La domanda è inevitabile: il governo Meloni dov’era mentre si decideva il futuro di settori strategici del nostro Paese?”. Per Angelo Bonelli, deputato AVS e co-portavoce di Europa Verde, Meloni è una “patriota al contrario”.