Il cinema in sala crolla d’estate. Nonostante l’ottimismo di Giuli e Borgonzoni
Come vado sostenendo da molto tempo, il deficit di strumenti di conoscenza approfondita del sistema culturale italiano determina il sempre latente rischio di numerologie fantasiose e di affabulazioni strumentali: si sparano numeri in libertà, senza una minima attenzione alle metodologie utilizzate, si orchestrano campagne mediatiche spesso “ad usum delphini” della plebe ignorante… Si (mal) governa il sistema senza la indispensabile “cassetta degli attrezzi”, prevalgono approssimazione e spannometria.
Il caso del Tax Credit al settore cine-audiovisivo è ormai emerso in tutta la sua scandalosa evidenza: la sostanziale assenza, dalla nascita della Legge Franceschini nel 2016, di uno strumento come la “valutazione di impatto” (pur previsto dalla norma, ma mai concretizzatosi in un dataset affidabile ed in analisi critiche adeguate), ha provocato uno “splafonamento” del budget dello Stato che secondo alcuni veleggia ormai nell’ordine di 1,5 miliardi di euro. Ma anche questa è una mera “stima”, in assenza di numeri certificati.
Eppure, per anni, la Sottosegretaria delegata la senatrice leghista Lucia Borgonzoni ha diretto con pervicace entusiasmo il coro degli operatori del settore, grandi e piccini, che tutti hanno beneficiato della “manna” del credito di imposta, col risultato di una sovraproduzione di titoli (buona parte dei quali mai usciti nelle sale cinematografiche) e di una inflazione dei costi di produzione (determinata dalla “piena occupazione”, fino ad un paio di anni fa): ignorando completamente gli indicatori critici (che pur c’erano) e coloro (pochissimi, tra cui chi scrive) che segnalavano i campanelli di allarme.
Improvvisamente, arriva un ministro che si rende conto che “qualcosa” non quadra, Gennaro Sangiuliano (FdI), e presto viene aspramente criticato perché forse sta per rivelare che “il Principe è nudo”: avvia una riforma che affida però paradossalmente a quella stessa Sottosegretaria che dirigeva il coro dei ciechi ottimisti; la Sottosegretaria avvia sì un processo di riforma, che però procede male (senza trasparenza e senza coinvolgere tutti gli operatori del settore) e soprattutto lentamente (rallentato anche da alcuni ricorsi al Tar); vengono pubblicati dei “decreti correttivi”, che vengono poi rivisti e (ri)corretti, e soltanto nel giugno del 2025 il Ministero della Cultura introduce dei meccanismi di pre-selezione e controllo delle procedure amministrative. Procedure che, nel corso di un decennio, hanno sì consentito la crescita (artificiosa) dell’economia del settore, ma al tempo stesso le maglie larghe hanno consentito sprechi e abusi e finanche truffe…
Nella sua relazione del 29 luglio 2025 al Senato, il ministro Alessandro Giuli (FdI) ha descritto un quadro complessivamente idilliaco, rivendicando il proprio ruolo di “moralizzatore” rispetto ad un grande spreco attribuito – come quasi sempre accade in politica – a… “chi c’era prima”. Senza dubbio vero che durante l’era del “dem” Dario Franceschini i cordoni della borsa sono stati allargati in modo impressionante, senza attivare i necessari controlli.
Secondo il governo ora “va tutto bene”, secondo gli operatori si registrano ancora le conseguenze di uno stallo che si protrae da due anni e più. Tutto il sistema è stato rallentato, e la “piena occupazione” è un ricordo del passato. Se le grosse imprese di produzione, soprattutto le multinazionali straniere (che hanno rapporti privilegiati col sistema bancario) hanno retto la crisi, centinaia di piccole e medie imprese sono in perdurante grande affanno (a causa di un limitato accesso al credito e di regole ancora incerte).
Se la produzione nazionale arranca, anche l’esercizio cinematografico boccheggia, nonostante sia un segmento della filiera che ha beneficiato di sostegni imponenti da parte dello Stato. Anche in questo caso, i dati sono controversi: la Sottosegretaria e lo stesso Ministro, pochi giorni fa, enfatizzavano i risultati eccellenti della campagna promozionale “Cinema Revolution”, ma questo ulteriore entusiasmo cozza con i dati oggettivi. Secondo le analisi di specialisti come Stefano Radice di CineGuru/Screenweek pubblicate giovedì 7 agosto, le prime nove settimane delle undici settimane di “stagione estiva” (convenzionalmente intesa dal 5 giugno al 6 agosto) registrano un “box office” di 62,3 milioni di euro (per 8,5 milioni di spettatori), a fronte dei 71,6 milioni dell’omologo periodo del 2023, e degli 81,7 milioni di euro del 2024. Il calo del 2025 rispetto al 2024 è di ben il 23%.
Questo è un indicatore oggettivo: -23% di incassi. Cinema in sala a picco. Con quale coraggio si può sostenere che la campagna “Cinema Revolution” sia stata grandemente efficace?! Peraltro, si tratta di un’iniziativa ministeriale di cui non si sa quasi nulla: misteriosa sia la pianificazione mediale, sia l’identità di chi cura l’impostazione editoriale e artistica, budget di circa 20 milioni di euro l’anno, iniziativa affidata a Cinecittà senza trasparenza alcuna… al punto tale che ha provocato anche un’interrogazione parlamentare (4-04748, presentata il 2 aprile 2025) del deputato Gaetano Amato (M5s), che attende ancora risposta… Così come resta senza risposta la domanda che ho posto più volte all’Amministratrice Delegata di Cinecittà Manuela Cacciamani, che ribadisce che non sarebbe vero che gli “studios” di via Tuscolana sono semideserti, ma lo sarebbero stati quando lei si è insediata (nominata dal Ministro Giuli a metà luglio 2024) e che lei ha ereditato un bilancio “scorretto” dal suo predecessore Nicola Maccanico (nominato da Franceschini).
Nel marzo del 2024 l’allora Ad Maccanico, in un’intervista al Corriere della Sera dichiarava invece “una Cinecittà che funziona a pieno regime” (testuale)… E ancora il 15 dicembre 2024, nel magazine di Le Monde che dedicava la copertina a Cinecittà, l’allora Ad Maccanico sosteneva “in meno di tre anni, siamo passati da un tasso di occupazione medio del 30% a quasi l’80% di occupazione media dei nostri studi”… Alla domanda che ho posto da settimane a Cinecittà: “è possibile acquisire un dato sintetico certo, ovvero qual è il tasso di occupazione degli studi di Cinecittà negli ultimi 3 esercizi, ovvero per gli anni 2022 e 2023 e 2024, e qual è il tasso attuale (primo semestre dell’esercizio 2025)?!”, non è mai giunta risposta.
E che dire di quelle “correzioni” apposte, in sede di approvazione del bilancio 2024 di Cinecittà (il 25 luglio 2025) al bilancio dell’esercizio 2023, rispetto alle quali non c’è una riga di spiegazione (-3 milioni di euro di ricavi, +6 milioni di costi)?! E, nonostante il bilancio 2023 “rettificato”, Cinecittà perde nel 2024 quasi 12 milioni di euro, su un totale di ricavi di 86 milioni di euro (erano 100 milioni nel 2023).
Chi può dimostrare che il disastro sia tutto da attribuire alla eredità di… “chi c’era prima”?! Non esiste un dataset adeguato per capire la vera verità dietro queste numerologie. Non sul Tax Credit, non su Cinema Revolution, non su Cinecittà ecc. Ancora una volta, trasparenza a metà e governo nasometrico delle istituzioni culturali.