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Il futuro di Hezbollah dopo gli attacchi di Israele: indebolito ma resistente, il disarmo resta questione aperta

È difficile dubitare che Hezbollah sia un ingranaggio fondamentale nel governo libanese e un esercito-ombra, asservito all’Iran, quasi impossibile da disarmare. Tuttavia, esistono delle possibilità diplomatiche
Il futuro di Hezbollah dopo gli attacchi di Israele: indebolito ma resistente, il disarmo resta questione aperta
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di Claudia De Martino

La guerra dei dodici giorni (13-24 giugno 2025) tra Iran e Israele non ha visto la partecipazione di Hezbollah ma solo degli alleati yemeniti Houthi: un’anomalia che è stata evidenziata da più osservatori. Nella dottrina classica della resistenza iraniana, Hezbollah era considerata parte della “difesa avanzata” della Repubblica islamica e finanziata più di tutti gli altri gruppi dell’Asse della Resistenza per la sua capacità di infliggere massicce perdite ad Israele in caso di conflitto data la prossimità geografica al Paese ebraico, l’arsenale balistico accumulato (tra i 160-000 e i 200.000 razzi, di cui alcuni a lunga gittata) e l’alto numero di combattenti (stimati intorno ai 45.000 incluse 10.000 truppe d’élite conosciute come la “forza Radwan”). Tuttavia, nell’ultimo conflitto diretto tra i due avversari regionali, Hezbollah si è limitata ad una denuncia retorica dell’attacco israeliano senza aprire un secondo fronte.

Certamente, Hezbollah è uscito notevolmente indebolita dal conflitto con Israele (ottobre-novembre 2024). Si calcola che abbia perso 4000 uomini e abbia contato circa 7000 feriti, tra cui molti leader di punta colpiti nell’attacco dei “cercapersone” subito nel settembre 2024, che abbia visto la distruzione di circa l’80% del suo arsenale e non sia più in controllo dello spazio aereo, ormai saldamente detenuto da Israele. Quest’ultimo, dal cessate-il-fuoco del 27 novembre 2024, avrebbe infatti compiuto più di mille violazioni dell’accordo in attacchi aerei, oltre a conservare cinque avamposti militari nel sud del Paese. Infine, il crollo repentino della dittatura siriana nel dicembre 2024 l’avrebbe privato della continuità territoriale con l’Iran, suo principale fornitore di armi e sponsor ideologico.

La Risoluzione n.1702 del Consiglio di sicurezza Onu sul cessate-il-fuoco gli ha imposto di ritirarsi 30 km a nord del fiume Litani e di avviare un disarmo completo a favore delle forze armate libanesi, l’esercito regolare. Su tale promessa si è costruito il nuovo governo libanese Aoun-Salam, che dovrebbe ripristinare il monopolio della forza da parte del governo centrale, disarmando o integrando i suoi miliziani, tra cui molti uomini in età avanzata (più di 40 anni), nonché le milizie delle varie fazioni palestinesi presenti nei campi profughi. Finora Hezbollah ha acconsentito a rilasciare le sue postazioni, ma non a cedere le armi, e il negoziato su questo punto si avvia ad essere l’aspetto più critico per il nuovo governo.

E’ infatti indubbio che, a dispetto della disfatta militare subita e della rabbia delle altre comunità confessionali per aver trascinato il Paese in un’ennesima guerra contro Israele, Hezbollah abbia retto politicamente e mantenuto il sostegno della sua base, come confermato dai risultati delle ultime elezioni municipali (maggio 2025): soprattutto nel sud distrutto dalla guerra, il ticket sciita congiunto Amal e Hezbollah si sarebbe assicurato 102 su 272 municipalità, mantenendosi al potere nei suoi tradizionali bastioni, nonostante il crollo dell’alleato cristiano, il “Libero movimento patriottico” di Bassil.

Questo grazie non tanto alla gloria militare e alla retorica del martirio, pur così ben strumentalizzata nella comunicazione politica, ma grazie alle sue misure di intervento sociale e alla sua penetrazione nelle istituzioni di governo: dal 2018 – a seguito della strategia di massima tensione esercitata dall’Amministrazione Trump sull’Iran, che aveva costretto Hezbollah a cercare fonti di finanziamento alternative -, in particolare, nel Ministero degli affari sociali, con l’obiettivo di dirottarne i fondi per finanziare le proprie opere caritatevoli e sociali*. A questo si aggiungono altri asset, che godono di un accesso privilegiato alle risorse di Stato. Hezbollah ha infatti creato una serie di ong e associazioni di utilità pubblica esentasse che rappresentano una copertura per le sue attività di sicurezza: una in particolare, la Jihad al-Binaa Association, si occupa di costruzioni, irrigazione, infrastrutture, industria e protezione ambientale e opera in cooperazione con il Ministero dell’Agricoltura e quello dei Trasporti e delle Infrastrutture, di cui è partner, accedendo ai fondi per lo sviluppo sia dello stato che delle municipalità, oltre a vantare il permesso di importare materiali di costruzione e tecnologici senza dogana e senza controlli alle frontiere.

Ancora, la Fondazione dei Martiri lavora a stretto contatto con il Ministero della Salute pubblica per acquistare equipaggiamenti medici, farmaceutici ed ambulanze, successivamente utilizzati dall’organizzazione a titolo privato. Inoltre, il Supremo consiglio islamico sciita – un’istituzione religiosa affiliata alla Presidenza del Consiglio dei ministri – è esente da tasse e dogane e può importare dall’estero beni senza dichiararli attraverso i porti e l’aeroporto di Beirut. Infine, il Partito di dio controlla l’intelligence militare, responsabile della repressione delle manifestazioni, e l’Unità di sicurezza generale dello stato, responsabile dell’emissione di passaporti insieme al Ministero dell’interno.

È difficile dubitare che Hezbollah sia oggi un ingranaggio fondamentale nel governo libanese e un esercito-ombra, asservito all’Iran, quasi impossibile da disarmare senza avviare una guerra civile. Tuttavia, esistono delle possibilità diplomatiche di negoziare con un attore indebolito qual è oggi, la cui popolazione civile è allo stremo e attende solo la ricostruzione delle aree distrutte dalla guerra nel sud del Paese. Sarebbe possibile, ad esempio, come scrive l’International Crisis Group, barattare un’accresciuta influenza politica, a cui Hezbollah non rinuncerà mai – con i suoi 50 deputati e 4 ministri, tra cui il ministro delle finanze che pone la controfirma su tutti gli atti del governo suscettibili di copertura finanziaria – con il disarmo militare, aumentando l’allocazione dei fondi a sud e l’attribuzione di incarichi a funzionari del Partito di dio in cambio della consegna delle armi, iniziando da quelle a lunga gittata, e la rinuncia temporanea ma progressiva alla lotta armata.

Nondimeno, gli osservatori fanno notare che bisognerebbe soprattutto sostenere l’esercito regolare rafforzandone l’organico e gli stipendi e aiutare il governo libanese con prestiti internazionali a tassi agevolati e aiuti allo sviluppo per uscire dalla profonda crisi economica in cui è sprofondato fin dal 2019, ma con il moltiplicarsi delle crisi in Medio Oriente (Gaza, Siria e profughi in primis) e il generale crollo della cooperazione internazionale, dopo i tagli di Trump a Usaid e quelli europei in conseguenza al piano Nato di riarmo, è abbastanza improbabile che questo avvenga.

* Mitri, G. (2019), ‘Fact-based: A director general above the law’, Nida al-Watan, 21 November 2019,
https://www.nidaalwatan.com/article/9505-بالوقائع-مدير-عام-فوق-القانون.

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