
In una famosa intervista, al giornalista che gli chiedeva cosa gli facesse più stizza, Berlinguer indicava l’accusa, mossagli da più parti, di essere “triste” (“Non è vero!”, sottolineava piccato)
di Leonardo Botta
In principio fu Enrico Berlinguer. In una famosa intervista, al giornalista che gli chiedeva cosa gli facesse più stizza, il segretario del PCI indicava l’accusa, mossagli da più parti, di essere “triste” (“Non è vero!”, sottolineava piccato). Magari non triste, ma certamente Berlinguer era persona sobria, austera nei modi, al punto che i momenti di vera ilarità che lo coinvolsero e che si ricordino furono quelli in cui un dissacrante Benigni lo teneva in braccio sulla Terrazza del Pincio al cospetto del popolo della sinistra in visibilio.
Poi arrivarono Natta e Occhetto, alle prese con il crollo della casa comunista e (il secondo) con la transizione a una complicata socialdemocrazia. E sì, lì c’era poco da ridere, con il principale partito della sinistra che dopo i fasti del trenta percento e passa scendeva sotto il 20% susseguenti il crollo del Muro e la svolta della Bolognina.
Sull’altra sponda politica, invece, dopo la sbornia legalitario-giustizialista di Tangentopoli (consumata al ritmo goliardico di “Vuoi pure queste, Bettino vuoi pure queste…”) venne l’uomo di Arcore, che anche i più acerrimi rivali non esitarono a definire una “simpatica canaglia”, il leader da una barzelletta al giorno, dalle corna esibite in pubblico consesso e dai vistosi apprezzamenti a Michelle Obama. E sì che, se posso azzardare un’ipotesi, credo che uno dei principali crucci di Berlusconi sia stato essersi visto, lui presidente con la bandana, battuto per ben due volte da uno in doppiopetto gessato, anche se col sorriso bonario, come Romano Prodi. Fatto sta che il buon Silvio era un po’ come le scarpe Superga: lo odiavi sprezzantemente o lo amavi alla follia. E quindi con lui non ti annoiavi mai.
Poi arrivò il tempo, invero effimero, di Matteo Salvini e dell’estate del Papeete, tra un mojito e una sbavata al cospetto di qualche prosperosa DJ in bikini.
Infine, quello di Giorgia-sono-donna-mamma-cristiana, che in quanto a eloquio brillante batte un po’ tutti (cominciò con un’epica randellata – metaforicamente parlando – tra i denti di Debora Serracchiani, che la neo premier perculò sadicamente chiedendole: “Mi guardi, le sembra che io stia un passo dietro agli uomini?”). E che adesso, dismessa quell’aria spiritata tipica di quando era all’opposizione e dava del criminale a chiunque si trovasse in maggioranza, o gridava alla vergogna per i trentacinque euro su cinquanta di carburante che andavano allo Stato, si trova molto a suo agio con una retorica efficace ma tutto sommato spiritosamente dorotea (un po’ con l’Europa e un po’ con Trump, un po’ di lotta e un po’ di governo) che dà magistralmente il la agli sfottò (sinistroidi komunisti, dovete rosicare, la Meloni sta facendo la storia, Malox con una “a”) dei suoi più sfegatati hooligans.
Sicché la sinistra (torniamo a essa) prima si afflisse tra eminenze grigie come Enrico Letta e Paolo Gentiloni, più soporiferi di un ettolitro di valeriana, e il “maanchismo” un po’ tafazziano di Walter Veltroni, che in un lampo di “genio” elettorale coniò i termine, riferito a Berlusconi, di “principale esponente dello schieramento a noi avverso” (“con lo scappellamento a destra”, avrebbe chiosato il conte Mascetti). Poi trovò finalmente un po’ di verve con l’avvento di Matteo Renzi (il politico di Rignano “di sinistra”? Vabbè, ai posteri l’ardua sentenza), l’uomo che sembrava la trasfigurazione politica di José Mourinho, che voleva rottamare tutti e invece fu rottamato da una riforma costituzionale mal ponderata. Però, finché durò, certo non ci tediò giammai, tra un “Enrico stai sereno”, un “Beppe esci da questo blog” e un “Non penso di essere mister Wolf ma nemmeno Paperoga”.
E veniamo infine ai nostri giorni, quelli di Elly Schlein che pure, tra armocromismi ed entusiastiche partecipazioni ai Pride, ha provato a mettere un po’ di colore nella sua azione politica. Salvo poi arrovellarsi in disquisizioni supercazzolate da provocare, anche al più caffeinomane degli ascoltatori, un gran calamento di palpebre che non riesci a tener su nemmeno puntellandole con due stuzzicadenti. E poco le giovano i compagni di coalizione, il duo di sinistra-sinistra Fratoianni-Bonelli, che stanno a Letta-Gentiloni come la melatonina sta alla suddetta valeriana.
E a noi vien su un po’ di struggente nostalgia per un comico di professione prestatosi (sia lode al Signore!) per un po’ alla politica, quel Beppe Grillo la cui primigenia piattaforma programmatica fu un fragoroso, irriverente, spassosissimo “VAFFA!”.