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Lauree facili alla Link Campus: condannati Vincenzo Scotti e il vertice dell’ateneo. “Esami falsi per i poliziotti”

L'indagine partita nel 2019 ha svelato una rete di esami fantasma, verbali falsificati e titoli regalati: così un’università privata ha garantito lauree a poliziotti senza mai vederli in aula. Ed è la stessa del caso Calderone
Lauree facili alla Link Campus: condannati Vincenzo Scotti e il vertice dell’ateneo. “Esami falsi per i poliziotti”
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Cinque anni e sei mesi a Vincenzo Scotti, ex ministro e presidente della Link Campus University. Stessa pena per il direttore generale Pasquale Russo e il rettore Claudio Roveda. Cinque anni e due mesi al docente Stefano Mustica. È la sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Firenze condanna il vertice dell’ateneo privato finito al centro di un’inchiesta per un sistema fraudolento che – secondo i giudici – permetteva a decine di studenti, in gran parte agenti di polizia iscritti tramite il sindacato Siulp, di ottenere la laurea senza sostenere esami. I reati riconosciuti dalla Corte sono per associazione a delinquere, false materiali e falsi ideologici. Le motivazioni sono attese entro 90 giorni.

È solo un primo grado, la corte d’appello di Firenze ha confermato assoluzioni e proscioglimenti per studenti e docenti ma la sentenza accoglie l’impianto accusatorio del filone principale dell’inchiesta partita nel 2019, condotta dalla pm Christine Von Borries, che smonta di fatto l’immagine pubblica di un ateneo di élite. Rilancia anche interrogativi sulla vigilanza del Ministero, sul ruolo dei sindacati e sulla fragilità di un sistema che – per attrarre iscritti – ha sacrificato ogni parvenza di rigore.

Indirettamente allunga un ombra anche sulla più recente vicenda della cosiddetta “laurea della domenica” dell’attuale ministro del Lavoro Marina Elvira Calderone rivelata dal Fatto: iscritta negli stessi anni, con esami dati appunto la domenica, a volte due al giorno. Un esposto alla Procura di Roma ha portato all’apertura di un fascicolo di cui ancora non si conoscono gli sviluppi.

Verbali falsi e docenti fantasma
La truffa, per il Tribunale, era sistemica. Verbali d’esame falsificati, prove d’appello mai svolte, docenti che certificavano esami di materie che non avevano mai insegnato. Il tutto per garantire titoli di studio a chi – in cambio – versava rette universitarie, una parte delle quali destinata alla Fondazione Sicurezza e Libertà, legata al SIULP. Un meccanismo rodato, alimentato da interessi economici e rapporti di potere, all’ombra di un’università riconosciuta dal Ministero.

Non tutti però sono stati condannati. Assolti Carlo Cotticelli e Luca Fattorini: per i giudici “il fatto non costituisce reato”. Assolti anche Pisaniello e Romano per alcuni reati residui. Una decisione che non ridimensiona però la portata di un sistema che ha premiato connivenze e scorciatoie, sacrificando la meritocrazia.

Il lato comico e tragico dello scandalo
Alla Link Campus c’era il professore di Spagnolo che non parlava spagnolo, ma firmava esami comunque, messo lì solo per apporre una firma su un verbale d’esame mai visto né corretto. Non è andata meglio con il Diritto Internazionale: la professoressa, mai nominata per l’esame, mai presente, eppure ufficialmente in aula secondo il verbale. Stesso copione per il corso di Analisi Strategica e Geopolitica, con il professore citato come supervisore mentre era altrove a occuparsi di tutto fuorché di compiti da correggere. La firma? Ce la metteva lo stesso.

L’università come scorciatoia
La vicenda colpisce il cuore del sistema delle università private. Alla Link, secondo la sentenza, la laurea era solo una formalità. Bastava pagare, aggirare le regole, avere la sponda giusta. Le aule – quelle vere – erano a margine. I verbali si compilavano altrove. Le prove, se c’erano, non passavano dalle commissioni. Era tutto già scritto.

La vicenda porta a galla aspetti quantomeno surreali, perché il paradosso istituzionale è lampante. Un ateneo riconosciuto (guidato da un ex ministro) che, invece di garantire rigore accademico, secondo l’accusa dispensava lauree facili a una cerchia privilegiata. E membri delle forze dell’ordine, paladini della legalità, disposti a infrangere le regole pur di ottenere un “pezzo di carta”. Un ex titolare del Viminale e un leader di sindacato di polizia, insomma, fianco a fianco nel bypassare la legalità sotto l’etichetta rispettabile di “studenti lavoratori”. In danno ovviamente di quelli che studiano davvero e delle loro famiglie che per questo fanno veri sacrifici.

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