Un saggio di Paolo Desogus sottrae Pasolini al ruolo di mito buono per tutti
A cinquant’anni dalla morte, un saggio di Paolo Desogus, professore alla Sorbona, sottrae Pasolini ad una destorificazione della sua figura che ne ha fatto un mito buono per tutti: quello della lotta estetica contro un potere anonimo senza connotati, un mito buono dunque anche per i postfascisti che lo hanno messo nel loro pantheon o per i liberali che celebrano quel capitalismo che per Pasolini era l’elemento corruttore.
Opera meritoria perché purtroppo con il passare degli anni è andato del tutto smarrito il contenuto politico delle sue riflessioni sui processi sociali e culturali e con frettolosità si fa coincidere Pasolini e il suo impegno con gli articoli per il Corriere della sera degli anni 70, sorvolando sul suo percorso precedente, lungo, accidentato, ricco, da dove emerge più che il valore dell’autonomia e dell’indipendenza, uno spirito dialogico che per quanto critico resta sempre in contatto dialettico con il marxismo e il Pci. Dunque anche nei momenti più acuti di dissenso e quando alla metà degli anni sessanta giungerà alla convinzione che ‘la rivoluzione non è più che un sentimento’ perché il neocapitalismo sta vincendo la partita.
Il pregio della vasta opera di Desogus (In difesa dell’umano, La Nave di Teseo, 2025) è di avere messo in collegamento continuo la vicenda artistica pasoliniana, dai romanzi alle poesie ai film, agli articoli giornalistici, con la sua dimensione politica e intellettuale, con la sua formazione marxista ed esistenzialista, e di averla descritta pur nei suoi infiniti e tortuosi passaggi individuando proprio nella contraddizione (non è un caso: Passione e Ideologia, Transumanar e Organizzar) il filo rosso della sua biografia umana e culturale.
La tesi è che al centro del pensiero pasoliniano ci sia il valore della contraddizione tra dimensione razionale e storica e dimensione esistenziale e irrazionale. Un pensiero duale, come ha ammesso lo stesso Pasolini, a volte dialettico e a volte antidialettico.
Criticato per essere un autore senza teoria né letteraria né filosofica né politica, l’autore smonta questo luogo comune dimostrando che Pasolini non è autore senza filosofia (addirittura si iscrive proprio a Filosofia dopo la prima laurea dove chiederà la tesi a Felice Battaglia) e come egli si sia nutrito sin dagli inizi di molte letture psicoanalitiche, antropologiche e linguistiche. In un’indagine accurata e poderosa, non sempre facile ma quanto mai puntuale, si dimostrano, tra molto altro, gli apporti fondanti non solo di Marx, Freud e Gramsci ma l’interesse per l’esistenzialismo, le feconde relazioni con le ricerche antropologiche di De Martino, con quelle di Benjamin, il rapporto conflittuale ma stretto con Fortini. Ma l’analisi va anche alle polemiche con le Avanguardie, si sofferma sulle critiche di Asor Rosa, sugli apporti dalla scuola di Francoforte.
Desogus racconta bene come l’autore nella prima formazione si divida tra esistenzialismo e scoperta di un marxismo che non abbandonerà mai, pur cercando di farlo convivere con le altre scienze (in questo era molto avanti negli anni 50). Mentre il problema che si pone subito per il Nostro, sin dagli anni Sessanta, è come lo sviluppo neocapitalistico distrugga l’umano: religione, mito ed eros per Pasolini servono appunto a difenderlo da questa avanzata distruttrice.
Scavando in una mole vastissima di materiali l’autore sottolinea inoltre come il pensiero pasoliniano sia attento sia al ruolo di Marx che ha mostrato il conflitto e il dualismo dei processi materiali ed economici, che a quello di Freud che ha mostrato i conflitti e il dualismo dell’inconscio; entrambi volti a demistificare la concezione idealistica che vedeva la società e l’individuo come totalità coesa e unitaria. Da qui si capisce come il terreno su cui si costruisce la sua critica a quella sia proprio l’arte, anche la sua, imbevuta di uno stile che vuol fare emergere i modi, i linguaggi, i sentimenti del mondo dei subalterni, irriducibili alle astrazioni universali: i contadini friulani prima e le borgate romane dopo, sono la realtà da cui attinge per la sua opera molteplice, romanzi, poesie, film, teso sempre a mettersi in contatto, lui intellettuale borghese che memore della lezione di Gramsci comprende ma non sente, con coloro che invece sentono ma non comprendono.
