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Perché ritengo possibile un attacco comune di Israele e India contro il Pakistan

È un'alleanza ideologica tra due visioni del mondo, Hindutva e sionismo, che condividono un'impostazione apertamente anti musulmana
Perché ritengo possibile un attacco comune di Israele e India contro il Pakistan
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Dietro la recente escalation tra Israele e Iran non c’è soltanto una rivalità regionale, ma un piano più complesso e pericoloso. Parlando con esperti e colleghi giornalisti pakistani, mi sono trovato di fronte a una teoria inquietante che suggerisce un possibile attacco coordinato di Israele e India contro il Pakistan entro ottobre 2025. Può sembrare fantapolitica, lo riconosco, ma le tracce che ho seguito sono preoccupanti.

Io penso che l’alleanza tra il premier indiano Narendra Modi e il suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu vada ben oltre la collaborazione militare. È un’alleanza ideologica tra due visioni del mondo, Hindutva e sionismo, che condividono un’impostazione apertamente anti musulmana. Non è un caso che Modi, nel 2017, sia stato il primo premier indiano a visitare ufficialmente Israele, inaugurando una cooperazione militare che da allora non ha fatto che crescere.

Mi sembra significativo che proprio in India, grazie alla collaborazione tra l’Adani Group e l’israeliana Elbit Systems, si producano droni Hermes 900, già utilizzati contro il Pakistan durante il breve conflitto di maggio scorso. Droni che, fortunatamente, Islamabad è riuscita a neutralizzare, ma che evidenziano una minaccia concreta e crescente.

A mio avviso, un indizio cruciale è arrivato recentemente dall’ex vice ministro israeliano della difesa, Meir Masri, il quale ha parlato apertamente di una “smilitarizzazione nucleare del Pakistan” come prossimo obiettivo. La sua dichiarazione, amplificata sui social media indiani, dove si parla già di una cosiddetta “Operazione Sindoor”, mi ha profondamente turbato. Questa ipotetica operazione prevederebbe attacchi mirati agli impianti nucleari pakistani, coordinati fra Israele e India.

Ho trovato conferma di queste preoccupazioni leggendo l’articolo di Julian Spencer-Churchill su Modern Diplomacy del 24 giugno 2025, dove l’autore sostiene che Israele potrebbe usare basi indiane per colpire il Pakistan. L’obiettivo sarebbe chiaro: neutralizzare le capacità nucleari di Islamabad, mentre l’India ne approfitterebbe per intervenire militarmente in Kashmir, dividendo così il Pakistan e assumendo definitivamente il controllo della regione contesa.

Credo che dietro questa operazione si nasconderebbe anche un obiettivo più ampio: isolare la Cina, impedendole l’accesso strategico al porto di Gwadar, in Pakistan. Un modo per indebolire l’influenza cinese e ridisegnare gli equilibri geopolitici della regione. Ma davvero Israele e India credono che questa mossa possa restare senza conseguenze?

Ritengo infatti che Islamabad non sia né Gaza né il Libano. Nonostante le perdite, il conflitto di maggio ha dimostrato che il Pakistan dispone di una difesa aerea efficace, capace di abbattere jet avanzati come i Rafale indiani. I missili Shaheen-III, in grado di colpire obiettivi a 2.750 km di distanza, rappresentano una deterrenza credibile e pericolosa per chiunque pensi di attaccare il paese.

A mio avviso, un conflitto del genere rischierebbe di degenerare rapidamente in un disastro globale. Non solo per la devastazione che provocherebbe in Pakistan e India, ma per l’intera stabilità dell’Asia meridionale. Per non parlare del rischio nucleare che, in una regione già altamente instabile, sarebbe catastrofico.

Penso inoltre che dietro la retorica aggressiva di Modi ci siano motivazioni politiche interne. Con le elezioni nello stato del Bihar in India, previste per ottobre 2025, quale migliore strategia per consolidare la propria immagine nazionalista che innescare un nuovo conflitto con il Pakistan? Tuttavia, ritengo che Modi stia sottovalutando pericolosamente le possibili conseguenze di una tale escalation.

Alla luce di tutto questo, mi chiedo: fino a che punto siamo disposti ad accettare il rischio di una guerra totale per strategie politiche interne e obiettivi geopolitici che rischiano di mettere il mondo intero sull’orlo del baratro?

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