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“La Commissione Ue non chiarisce se con Rearm Europe si possano comprare mine antiuomo”

Da Palazzo Berlaymont, scrive lavialibera, non chiariscono se il piano possa coprire anche l'acquisto di questi ordigni. Intanto sono sei i Paesi in Europa che si sono ritirati dalla Convenzione che li vieta
“La Commissione Ue non chiarisce se con Rearm Europe si possano comprare mine antiuomo”
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Polonia, Lituania, Estonia, Lettonia, Finlandia e Ucraina si ritirano dalla Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine antiuomo, ma la Commissione Europea non chiarisce se questi ordigni possano o meno essere acquistati dal piano di finanziamento Rearm Europe, proposto da Ursula von der Leyen e che prevede 800 miliardi di cui 650 di debiti nazionali e 150 di prestiti Ue attraverso il programma “Safe”. A scriverlo è lavialibera (giornale di Libera e Gruppo Abele): ha sentito fonti da Bruxelles che non hanno sciolto il dubbio. A oggi, però, i documenti ufficiali non escludono questa possibilità. Secondo quanto approvato dal Consiglio europeo lo scorso 27 maggio nel regolamento Safe (Security Action For Europe) i 150 miliardi di prestiti possono essere utilizzati dagli Stati a cui vengono erogati per comprare “capacità di combattimento terrestre e relativi sistemi di supporto” e “contromobilità”, categorie – si legge su lavialibera – “nelle quali potrebbero ricadere anche le mine antiuomo“. E visto che la categoria di investimenti per le armi in deroga al patto di stabilità riguarda la “spesa totale per la difesa”, anche in questo caso le mine antiuomo non sono escluse, visto che non ci sono discriminazioni e specifiche. Proprio perché non esistono specifiche sul tema, Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine, spiega quanto sia necessaria la mobilitazione della società civile, perché “non possiamo permettere che fondi europei vengano utilizzati per questo scopo, e – dice a lavialibera – visto l’andamento non escluderei che questo possa accadere”.

L’ambiguità di oggi dell’Europa contrasta con alcune prese di posizione del passato. Se oggi palazzo Berlaymont si limita a constatare la decisione dei cinque Paesi di uscire dalla Convenzione di Ottawa – che vieta lo stoccaggio, il trasferimento e l’uso di mine terrestri, impone ai paesi di sgomberare il loro territorio e richiede a qualsiasi Stato in grado di farlo di fornire assistenza ai paesi colpiti -, poco più di un anno fa, il 27 maggio 2024, per il Consiglio Ue restava “assolutamente inaccettabile per l’Unione europea ovunque, in qualsiasi momento e da parte di chiunque” l’uso delle mine antiuomo. Nel frattempo, però, le posizioni sono cambiate: prima di arrivare alla semplice “constatazione” dell’uscita dalla Convenzione, ad aprile il Parlamento europeo aveva bocciato una proposta di emendamento per condannare l’intenzione del ritiro, e approvato invece una mozione contraria dei popolari. Eppure l’Unione Europea, continua lavialibera, “continua a rivendicare il ruolo di “secondo finanziatore globale” di missioni di sminamento, con 180 milioni di euro investiti dal 2023, e l’obiettivo di “liberare il mondo dalle mine antiuomo entro il 2025”, fissato nella Conferenza di Maputo del 2014″.

Per quanto la posizione dell’Ue resti nebulosa, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha annunciato una campagna globale per rilanciare il sostegno alla Convenzione. Tra i non firmatari del trattato figurano anche Cina, Russia, India, Pakistan, Repubblica di Corea e Stati Uniti. L’Onu ricorda che ogni giorno le persone muoiono o perdono un arto perché calpestano una mina. Questo avviene soprattutto nei paesi in pace, e la maggior parte delle vittime sono civili. “L’urgenza di questo problema non sarà mai sovrastimata” ha dichiarato Guterres, annunciando la campagna per sostenere le norme del disarmo umanitario e accelerare il rilancio della Convenzione. “La protezione delle vite innocenti dipende dalla nostra azione e dal nostro impegno collettivo” ha aggiunto.

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