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Maxi-inchiesta su cellulari e droga in carcere a Prato: “Lanciati all’interno con le fionde e nascosti nelle pentole”

La procura ritiene di aver svelato un vasto sistema di approvvigionamento, anche in Alta Sicurezza. Sotto accusa agenti penitenziari e addetti alle pulizie
Maxi-inchiesta su cellulari e droga in carcere a Prato: “Lanciati all’interno con le fionde e nascosti nelle pentole”
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Cellulari di ultima generazione, microtelefoni, smartwatch, schede telefoniche, ma anche sostanze stupefacenti come cocaina e hashish. Entrava di tutto nel carcere di Prato, secondo la procura guidata da Luca Tescaroli che ritiene di aver svelato un vasto sistema di approvvigionamento da parte dei detenuti dei reparti “Alta Sicurezza”, dove sono ristretti detenuti anche per reati mafiosi, e “Media Sicurezza”, anche grazie alla complicità e alla “corruzione” di agenti penitenziari e addetti alle pulizie.

A partire dal luglio 2024 sono state più di 150 le perquisizioni, ispezioni e i sequestri nei due settori del penitenziario al centro dell’inchiesta: “È un dato di fatto – evidenziano gli inquirenti – che sino a oggi sono stati rinvenuti e sequestrati nella disponibilità di detenuti 34 apparecchi telefonici e due ulteriori sim card, il cui utilizzo è oggetto di contestazione. Solo l’11 gennaio 2025 sono stati rinvenuti dieci smartphone”.

Durante l’attività investigativa della procura – che ha coordinato il lavoro della Squadra mobile della Polizia, dalla Guardia di finanza e del Nucleo investigativo regionale della Polizia penitenziaria – è stata fatta luce, secondo gli inquirenti, anche sulle modalità di ingresso dei dispositivi: dall’invio per posta, alla “corruzione” del personale carcerario in servizio, fino all’utilizzo di palloni contenenti cellulari o fionde per lanciare pacchetti con schede telefoniche o smartwatch.

I detenuti avevano anche escogitato diverse tecniche per occultare la droga e gli strumenti per comunicare con l’esterno: “Una volta entrati – spiegano i magistrati – gli apparecchi sono risultati nascosti in doppifondi creati artigianalmente nelle pentole, all’interno di elettrodomestici, nei sanitari del bagno, smontandoli con utensili forniti dai lavoranti, ricavando buchi nei muri, sotto i wc, all’interno dello sportello di frigoriferi, creando dei doppifondi nelle cartelline portadocumenti di plastica, nei piedi dei tavoli, sulla persona inserendoli nella cavità anale”.

Secondo la procura, sarebbero due le cause principali di questo fenomeno: da un lato il “massiccio tasso di illegalità“, che comporta anche una minore sicurezza passiva dei detenuti, e dall’altro “l’insufficienza di personale per quanto riguarda il ruolo degli ispettori e dei sovraintendenti”. Una situazione che ha influenzato anche lo svolgimento delle indagini, costringendo i magistrati ad agire più volte all’insaputa dei vertici dell’istituto e del personale di Polizia penitenziaria.

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