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Netanyahu: “La vittoria con l’Iran porta alla fine della guerra”. Media: piano di pace per Gaza da realizzare in due settimane

Il progetto di Washington e Tel Aviv, secondo le ricostruzioni, ha preso forma nel corso di una telefonata tra il primo ministro israeliano e il presidente americano poco dopo i primi bombardamenti sui siti nucleari della Repubblica Islamica

“La nostra vittoria apre agli accordi di pace”. Benjamin Netanyahu lo ripete da giorni, in uno slancio di ottimismo che non mostrava dall’inizio della guerra a Gaza. Ma adesso, secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Israel Hayom, dietro a questa nuova postura del primo ministro si nasconde la volontà di realizzare il piano di pace ideato insieme al fedele alleato Donald Trump: un piano che iniziava con gli attacchi all’Iran e si dovrebbe concludere con la fine della guerra a Gaza entro due settimane e l’allargamento degli Accordi di Abramo.

Il progetto di Washington e Tel Aviv, secondo le ricostruzioni, ha preso forma nel corso di una telefonata tra il primo ministro israeliano e il presidente americano poco dopo i primi bombardamenti sui siti nucleari della Repubblica Islamica. Una conversazione che le fonti sentite dal giornale dello Stato ebraico hanno definito “euforica” e nella quale si è parlato del futuro di Gaza come punto di partenza per ridisegnare l’intero Medio Oriente e renderlo un luogo più sicuro per Israele grazie ad alleanze da siglare. Nei colloqui a distanza, ai quali hanno preso parte anche il segretario di Stato, Marco Rubio, e il ministro israeliano degli Affari Strategici, Ron Dermer, i due leader hanno deciso che è arrivato il momento di mettere fine alla guerra a Gaza. E di farlo entro due settimane.

L’idea è quella di affidare il governo dell’enclave non più a un’entità palestinese, vista la debolezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e l’incandidabilità di Hamas, bensì a quattro Paesi arabi della regione, tra cui lo storico mediatore tra le parti, l’Egitto, e uno stretto alleato di Israele, soprattutto in campo militare, come gli Emirati Arabi Uniti. In cambio, alla leadership di Hamas verrebbe concesso l’esilio all’estero dopo la liberazione degli ultimi ostaggi israeliani ancora nelle loro mani. Gli abitanti della Striscia, ad oggi inabitabile a causa di un anno e mezzo di raid israeliani, potrebbero decidere anche di essere portati fuori dall’enclave e accolti in Paesi che, però, la fonte non ha precisato.

Il motivo di questo improvviso cambio di posizione è da imputarsi alla seconda fase del piano elaborata dai due leader, quella che riprende un discorso lasciato in sospeso ormai cinque anni fa e che aveva l’obiettivo di rompere l’isolamento di Israele nell’area, marginalizzando invece l’Iran e i Paesi vicini alla Repubblica Islamica: quello sugli Accordi di Abramo. Con la fine della guerra a Gaza, Trump potrebbe così mostrare al mondo il suo trofeo rivendendo la sua immagine di ‘uomo di pace‘ e dedicarsi alla stipula delle nuove intese tra i Paesi mediorientali e lo Stato ebraico che avevano portato alla stretta di mano tra Netanyahu e i capi di Stato e di governo di Bahrain, Emirati, Marocco e Sudan. A questi Paesi, secondo quanto riporta Israel Hayom, si andrebbero ad aggiungere Arabia Saudita, che prima dell’inizio del conflitto a Gaza aveva già avviato colloqui con Tel Aviv, e Siria, con il nuovo governo guidato dall’ex terrorista di al-Qaeda, Ahmad al-Sharaa, apprezzato dalle cancellerie occidentali. Questo avrebbe il doppio scopo, come detto, di stimolare i rapporti tra i Paesi arabi e Israele e isolare gli Stati più restii a questo processo. Con la forza di un’arma in più, secondo la fonte citata: il sostegno di Israele alla soluzione dei due Stati, osteggiata dalle formazioni più estremiste del governo Netanyahu, condizionata alle riforme attuate dall’Autorità nazionale palestinese (Anp) e al riconoscimento da parte di Washington della sovranità israeliana su alcune parti della Cisgiordania. Punto che potrebbe portare alla rottura con la popolazione palestinese.