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Greenwashing, dopo lo stallo a Bruxelles si prova a sbloccare la direttiva che le lobby industriali vogliono affossare

In contrasto con il dietrofront della Commissione europea, le parole di Teresa Ribera: “L’Ue non può continuare ad annacquare le sue ambizioni climatiche”. Renew Europe e Socialisti e democratici scrivono alla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola.
Greenwashing, dopo lo stallo a Bruxelles si prova a sbloccare la direttiva che le lobby industriali vogliono affossare
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Renew Europe e Socialisti e democratici provano a salvare ciò che, in queste ore, sembra irrecuperabile: la direttiva Green Claims, che rischia di essere affossata da un’inedita maggioranza di centrodestra in Parlamento europeo formata da Partito popolare europeo (Ppe), Conservatori e riformisti (Ecr) e dei Patrioti per l’Europa. Per ora la norma è ufficialmente in stallo, dopo le pressioni sulla Commissione Ue e il venir meno del sostegno necessario anche in Consiglio Ue, complice l’Italia. Presentata a marzo 2023, durante la prima commissione Von der Leyen, la direttiva mira a proteggere i consumatori dalle pratiche di greenwashing delle aziende che, con dichiarazioni ed etichette ingannevoli, presentano i propri prodotti come rispettosi dell’ambiente. E imporrebbe dichiarazioni ambientali chiare, basate su evidenze scientifiche e verificate lungo l’intero ciclo di vita del prodotto, con controlli da parte di entità terze, prima della diffusione sul mercato. Troppo per le lobby delle industrie.

L’iter in stallo – La proposta, già diventata nel tempo un testo di compromesso, sarebbe dovuta arrivare il 23 giugno al terzo trilogo, ossia il negoziato tra Commissione europea, Parlamento e Consiglio Ue, prima del via libera finale, ma negli ultimi giorni è accaduto di tutto. E il fronte del ‘no’, non avendo potuto fermare l’iter finora, ha deciso di fare pressione su Bruxelles. Riuscendo nel suo intento. Durante un briefing con la stampa, domenica 20 giugno, è arrivato l’annuncio sulle intenzioni “di ritirare la proposta di direttiva sulle Green Claims”. Ufficialmente c’è un emendamento che, ha spiegato la portavoce della Commissione Ue, Paula Pinho, sarebbe “contrario all’agenda di semplificazione” e farebbe rientrare nella direttiva circa 30 milioni di microimprese. Spiegazioni che non convincono chi era rimasto a discutere fino all’ultimo proprio dell’esonero per le micro-imprese. E così i capigruppo di Renew Europe, Valerie Hayer, e dei Socialisti e democratici, Iratxe Garcia Perez, hanno recapitato martedì sera una lettera alla presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, esprimendo “profonda preoccupazione” e chiedendo alla maltese di “sollevare la questione” al Consiglio europeo di giovedì.

I due volti di Bruxelles – L’ipotesi di un dietrofront di tale portata da parte di Bruxelles mal si coniuga, tra l’altro, con le dichiarazioni rilasciate dalla vice presidente della Commissione Ue. Durante un’intervista al Financial Times online, Teresa Ribera, responsabile per il clima e la concorrenza, ha parlato della legge – attesa per la prossima settimana – che stabilirà come l’Ue può ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. “L’Ue non può continuare ad annacquare le sue ambizioni climatiche” ha detto, sostenendo una linea opposta rispetto a quella mostrata dalla Commissione negli ultimi giorni. Molte capitali, scrive il quotidiano, stanno spingendo per rendere l’obiettivo più flessibile, ad esempio consentendo ai paesi di conteggiare le emissioni negative derivanti dalla cattura del carbonio o i crediti di carbonio internazionali, che consentono alle società di pagare per le proprie emissioni. Per Ribera, le flessibilità sono accettabili “nella misura in cui non compromettono o annacquano ciò che dobbiamo fare”.

La battaglia contro la direttiva – Ma quanto accaduto in seno all’Europa per la direttiva Green Claims, va ben oltre l’annacquamento. A pochi giorni dall’inizio del trilogo, infatti, il gruppo del Partito popolare europeo ha inviato una lettera alla commissaria all’Ambiente, Jessika Roswall, chiedendo di “riconsiderare e, in ultima analisi, ritirare” la proposta di direttiva. I firmatari, gli eurodeputati Arba Kokalari e Danuše Nerudová, si sono detti preoccupati che l’obbligo di verifica preventiva delle dichiarazioni ambientali imposto dalla riforma diventasse un carico eccessivo, specialmente per le piccole e medie imprese. E hanno contestato l’assenza di una valutazione d’impatto specifica. Come accaduto poi per tutte le misure del Green Deal, annunciate tra proclami entusiastici e poi affossate, anche l’Italia ci ha messo del suo. Lo ha confermato l’europarlamentare di Fratelli d’Italia-ECR, Stefano Cavedagna. “Come gruppo dei Conservatori europei e Fratelli d’Italia abbiamo chiesto alla Commissione europea di ritirare la bozza di direttiva sui Green Claims” ha detto nei giorni scorsi, sottolineando che la stessa richiesta era stata formulata “dal Partito popolare europeo e dai Patrioti”. “Tutto il centro destra a Strasburgo – ha aggiunto – a seguito di un’azione gestita come correlatori da me e dal collega Pietro Fiocchi, sostiene all’unanimità di fermare questa direttiva che aumenterebbe la burocrazia e danneggerebbe le piccole e medie imprese”. Ma l’Italia ha anche comunicato di essere favorevole al ritiro della norma alla presidenza polacca del Consiglio europeo, facendo venire meno il sostegno necessario al testo da parte dei governi europei. E i risultati sono arrivati con l’annuncio di Bruxelles. Le motivazioni ufficiali? Il rischio di caricare eccessivamente le piccole imprese con oneri amministrativi e che l’accordo finale tra Parlamento e Consiglio Ue potesse “snaturare” gli obiettivi della proposta. “Stiamo premendo il pulsante pausa. Ci sono troppi dubbi e abbiamo bisogno di chiarezza dalla Commissione europea sulle sue intenzioni” ha conseguentemente confermato la presidenza polacca alla guida del Consiglio Ue, già notoriamente meno ambizioso.

La lettera di Renew Europe e Socialisti e democratici – “Vedremo come procedere e vi invito a pazientare e a seguire gli sviluppi della situazione” aveva detto il portavoce. Difficile dopo due anni di iter. Anche perché le motivazioni della Commissione non convincono l’Eurocamera. E così i capigruppo di Renew Europe, Valerie Hayer, e dei Socialisti e democratici, Iratxe Garcia Perez, hanno scritto alla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola. Ricordando, tra l’altro, che la Corte di giustizia Ue ha stabilito che la Commissione può ritirare una proposta fino a quando il Consiglio non abbia deliberato. “Considerato che i negoziati interistituzionali sulla proposta di direttiva sono in corso dal 28 gennaio – sostengono – è ragionevole supporre che il Consiglio abbia già agito e che pertanto la decisione unilaterale di ritirare la proposta senza consultare i co-legislatori violi le norme”. “Posso assicurare che la posizione della Commissione (sull’emendamento della discoordia, ndr) era molto nota a entrambi i colegislatori” ha chiarito in merito la portavoce di Bruxelles, Paula Pinho. Ma Hayer e Garcia Perez temono inoltre che uno scenario simile si ripeta sulla direttiva sulla deforestazione: “Tali decisioni creano un precedente pericoloso per le nostre procedure istituzionali e per il ruolo del Parlamento” scrivono, invitando Metsola “a difendere le prerogative” dell’Eurocamera, “opponendosi fermamente” alle intenzioni di Bruxelles.

Lo scontro sul testo (e sulle procedure) – Nel frattempo, però, è accaduto di tutto, compresi gli scambi di accuse. Dopo l’annuncio di Bruxelles, ci sono state le reazioni entusiaste, tra gli altri, del copresidente del gruppo Ecr al Parlamento europeo, Nicola Procaccini e del capo delegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles, Carlo Fidanza. Ma anche la presa di posizione di Sandro Gozi, eurodeputato di Renew Europe e relatore della direttiva. “Il Parlamento europeo non ha mai chiesto lo stop ai negoziati sulla direttiva contro il greenwashing. Chi lo afferma diffonde fake news. Quando il Ppe – ha detto – si è reso conto di non poter fermare il negoziato ha cercato di ottenere dalla Commissione quello che non poteva ottenere in Parlamento”. Per Gozi “se Ursula von der Leyen dovesse cedere alle pressioni, ci troveremmo di fronte non solo a una gravissima violazione dell’indipendenza del Collegio dei Commissari, ma a una palese rinuncia ai doveri istituzionali della Commissione”. E le rassicurazioni ufficiali non sono bastate a rasserenare il clima.

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