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“Don Milani fu un santo sacerdote”: Leone XIV celebra il prete di Barbiana e sceglie la continuità con Papa Francesco

In un incontro con il clero romano, il nuovo pontefice ha indicato il parroco toscano tra gli esempi da seguire: una posizione che era attesa come una cartina di tornasole del suo indirizzo
“Don Milani fu un santo sacerdote”: Leone XIV celebra il prete di Barbiana e sceglie la continuità con Papa Francesco
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“Abbiamo avuto l’esempio di santi sacerdoti che hanno saputo coniugare la passione per la storia con l’annuncio del Vangelo, come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, profeti di pace e di giustizia”. Così, in un incontro con il clero romano il 12 giugno, Leone XIV ha indicato anche don Milani tra gli esempi da seguire. Il nuovo pontefice si collega in questo modo alla visita a sorpresa che Papa Francesco fece a Barbiana il 20 giugno 2017, trasformando idealmente la pietra scartata della parabola evangelica, cioè il sacerdote esiliato nel 1954 nel piccolo borgo toscano, nella pietra d’angolo della Chiesa del futuro. Fino ai suoi ultimi giorni di vita, Bergoglio ha considerato don Milani uno dei pilastri della sua Chiesa: “Era un prete coraggioso”, diceva. La posizione del suo successore nei confronti del prete di Barbiana, quindi, era attesa come una sorta di cartina di tornasole del suo indirizzo pastorale. In questo senso Prevost non ha deluso le attese dei progressisti, raggelando gli entusiasmi dei conservatori. E non era affatto scontato: basti ricordare che, lo stesso giorno in cui papa Francesco visitava Barbiana, il cardinale di Firenze Giuseppe Betori si affrettava a precisare che non ci sarebbe stato “nessun processo canonico” nei confronti del parroco. In sostanza, diceva, finché lui fosse stato alla guida della Chiesa fiorentina don Milani non sarebbe mai diventato santo, anche se Papa Leone ora lo annovera tra i “santi sacerdoti”.

Questa dicotomia tra Firenze e Roma, tra la curia fiorentina e i papi ha marcato fortemente la vita di don Milani. Morto nel 1967 a 44 anni, il prete fiorentino ha incrociato in vita due pontefici: Giovanni XXIII e Paolo VI (con il loro predecessore, Pio XII, non ha avuto alcun rapporto). Riguardo al rapporto con Papa Roncalli, in particolare, gli episodi salienti sono due. Il 5 luglio 1959 il priore di Barbiana scrive alla mamma Alice Weiss citando una lettera ricevuta dall’arcivescovo Giuseppe D’Avack, prefattore di Esperienze pastorali. “Ho piacere di dirle che l’altro giorno ebbi udienza privata dal Santo Padre. Il Papa di sua iniziativa mi parlò di lei con grande paterno affetto”, riferiva D’Avack a don Milani. Significativa anche la visita del priore di Barbiana con 19 ragazzi ai Musei Vaticani: il 28 maggio 1962 don Lorenzo scrisse una lunga lettera al segretario del Papa denunciando il duro impatto con la burocrazia e il cerimoniale, lamentando in particolare il caro-biglietti dei musei, l’arroganza e la maleducazione dei custodi e un sistema che a suo giudizio privilegiava i ricchi e maltrattava i poveri. “In Vaticano dei ragazzi di montagna che vivono fra dure privazioni contano meno di un oppressore in marsina e cilindro con moglie letteralmente coperta di gioielli e tinta che abbiamo visto distintamente a mezzo metro dal Papa”. Giovanni XXIII rimase turbato e commosso dalla dura lettera e fece inviare mezzo milione di lire al priore per la scuola dei suoi ragazzi.

Nel 1963 al soglio pontificio sale Paolo VI. Il 6 giugno 1964, don Milani gli scrisse per chiedergli un farmaco contro il tumore che lo affliggeva da tre anni e che lo porterà alla morte: “Santo Padre, sono un parroco di montagna congruato (che riscuoteva la congrua, lo “stipendio” dei parroci, ndr). Sono malato di linfogranuloma per cui mi occorre ogni settimana una endovenosa di Velbe che costa 1.100 lire il milligrammo cioè attualmente 15.000 lire per puntura”. E il papa inviò immediatamente i farmaci richiesti. Infine, in una lettera a monsignor Raffaele Bensi, direttore spirituale del priore, Paolo VI nel 1965 scrisse: “Colga l’occasione di fare notare delicatamente a don Lorenzo l’inopportunità di scrivere articoli per Rinascita”. Paolo VI si riferiva alla pubblicazione sul settimanale ideologico del Pci della lettera ai cappellani militari, avvenuta in realtà ad insaputa del priore di Barbiana. Il Papa dunque non condannò lo scritto milaniano ma si limitò a suggerire una certa prudenza nel rapporto con i media.

Poi, con papa Wojtyla e Ratzinger, la memoria di don Milani tornò ad essere scomoda in Vaticano. E nonostante le richieste di Michele Gesualdi, uno degli allievi più legati al priore, il libro Esperienze pastorali, condannato nel 1958 dal Sant’Uffizio, rimase all’indice. Finché papa Francesco lo riabilitò e nel 2017 salì a Barbiana a inginocchiarsi sulla tomba del prete eretico. E papa Leone sembra muoversi in linea con il predecessore.

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