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In Cisgiordania la più devastante operazione militare israeliana da oltre vent’anni

L'esercito israeliano ha distrutto sistematicamente centinaia di abitazioni all’interno dei campi e nei quartieri adiacenti. "L'avevamo costruita con le nostre mani. Lì siamo cresciuti"
In Cisgiordania la più devastante operazione militare israeliana da oltre vent’anni
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Nei quasi cinque mesi trascorsi dal 21 gennaio, Israele ha portato avanti nella Cisgiordania occupata la più devastante operazione militare dai tempi della seconda intifada. Di questa operazione militare, oscurata dal concomitante genocidio nella Striscia di Gaza, si occupa una recente ricerca di Amnesty International.

Fino al 4 giugno i palestinesi uccisi erano stati almeno 80, tra cui 14 minorenni. Secondo la Commissione palestinese per le persone detenute, dall’inizio dell’operazione ne sono state arrestate circa un migliaio: 700 nella zona di Jenin e 300 in quella di Tulkarem.

L’operazione militare israeliana è iniziata il 21 gennaio nel campo rifugiati di Jenin, per poi estendersi, il 27 gennaio, a quelli di Tulkarem e successivamente alla cittadina di Tammoun e al campo di al-Far’ah. Sebbene le forze israeliane si siano ritirate da al-Far’ah il 12 febbraio, rimangono ancora stanziate nei campi di Jenin e Tulkarem.

Il 23 febbraio, per la prima volta in oltre vent’anni, l’esercito israeliano ha dispiegato carri armati a Jenin. Lo stesso giorno, il ministro della Difesa israeliano ha ordinato all’esercito di “prepararsi a una lunga permanenza nei campi sgomberati” e di “impedire il ritorno delle persone residenti”. Secondo quanto riportato dai media israeliani, che citano fonti militari, l’operazione è destinata a durare mesi: centinaia di soldati resteranno nei campi per attività di “sorveglianza”.

L’esercito israeliano ha dichiarato i campi rifugiati di Jenin, Nur Shams e Tulkarem “zone militari chiuse”, stanziando sul posto proprie forze che impediscono agli abitanti di accedere alle loro case o a ciò che ne rimane. Testimoni hanno riferito che le forze israeliane aprono il fuoco contro chiunque tenti di tornare anche solo per verificare lo stato delle proprie abitazioni o recuperare oggetti personali.

Durante l’operazione militare, l’esercito israeliano ha distrutto sistematicamente centinaia di abitazioni all’interno dei campi e nei quartieri adiacenti, sia mediante azioni armate sia con ordini di demolizione. Secondo il Centro palestinese per i diritti umani, nel solo campo rifugiati di Jenin, i militari israeliani hanno raso al suolo centinaia di case e ne hanno danneggiate molte altre, rendendole inabitabili. Il 1° maggio l’esercito israeliano ha emesso nuovi ordini di demolizione per 106 abitazioni nei campi rifugiati di Tulkarem.

Il Crisis Evidence Lab di Amnesty International ha verificato 25 video condivisi sui social media da abitanti o soldati, che mostrano la distruzione di proprietà civili da parte delle forze israeliane nei campi rifugiati di Jenin, Tulkarem e Nur Shams tra il 31 gennaio e il 1° giugno. Le immagini documentano numerosi edifici demoliti con esplosivi posizionati manualmente, nonché strade, palazzi e veicoli distrutti coi bulldozer e le conseguenze di tutto ciò: abitazioni civili ridotte in macerie. In molti casi, le forze israeliane sembrano aver effettuato operazioni di sgombero e di successiva demolizione solo per allargare o creare nuove strade.

Amnesty International ha inoltre analizzato 32 ulteriori video e fotografie forniti direttamente da residenti palestinesi, che documentano danni ad abitazioni e beni personali. Le immagini mostrano interni devastati, finestre in frantumi, mobili distrutti, porte divelte, armadi svuotati, oggetti personali sparsi ovunque e resti di cibo abbandonati nelle stanze.

Un abitante del campo rifugiati di Nur Shams, Ibraheem Khalifa, ha raccontato come la sua famiglia sia stata sfollata con la forza il 9 febbraio e la loro casa sia stata poi demolita:

“Siamo tornati… per assistere alle demolizioni delle case dei nostri vicini e stare con loro [in segno di solidarietà]. Tuttavia, mentre eravamo lì seduti, ci siamo accorti che [il bulldozer militare] stava iniziando a demolire anche casa nostra. L’avevamo costruita con le nostre mani. Lì siamo cresciuti, abbiamo condiviso momenti di gioia e dolore. In quella casa ci siamo sposati, abbiamo celebrato ricorrenze, affrontato difficoltà… tutto. Quella casa ha visto tutto. Ora le nostre abitazioni e tutti i nostri beni non esistono più”.

Nel corso dell’operazione le forze israeliane hanno anche sistematicamente distrutto infrastrutture essenziali: oltre alle strade, anche reti idriche ed elettriche. Anche l’accesso ai campi rifugiati e la libertà di movimento sono stati gravemente compromessi: le forze israeliane hanno bloccato gli ingressi e le strade principali con cancelli metallici o posti di blocco e utilizzato bulldozer per creare barriere di terra e recinzioni con filo spinato.

Sempre da Nur Shams, Fatima Ali ha raccontato che il 9 febbraio le forze israeliane si sono impossessate della sua casa, trasformandola in un avamposto militare. L’irruzione ha costretto la famiglia di suo fratello a lasciare l’edificio, mentre lei – malata e impossibilitata a camminare a causa delle strade distrutte – è stata confinata in una stanza mentre la casa veniva utilizzata temporaneamente come postazione militare:

“Dalla mia casa si vede in tutte le direzioni, ho un balcone e una porta a ovest e un’altra a nord, così loro [i soldati] sono arrivati e l’hanno occupata. All’inizio mi hanno rinchiusa in una stanza. Quando arrestavano qualcuno, lo portavano nella mia abitazione. Mi hanno detto di andarmene ore dopo e ho avuto bisogno dei soccorsi per lasciare il campo perché tutte le strade erano state scavate e distrutte”.

L’operazione militare ha inciso anche su altri diritti sociali ed economici, tra cui il diritto all’istruzione: molti bambini e bambine hanno perso settimane di scuola.

A Tulkarem, quasi 700 attività commerciali sono state distrutte, danneggiate o costrette alla chiusura.

“Tulkarem è diventata una città fantasma. I negozi in città chiudono alle 18 perché non ci sono visitatori o clienti da fuori. Le persone che coltivano non riescono a raggiungere i loro terreni e chi lavora non può uscire per via delle chiusure dei posti di blocco. La situazione economica della città è catastrofica”, ha dichiarato Qais Awad della Camera di commercio di Tulkarem.

Amnesty International chiama in causa il fallimento della comunità internazionale, il cui silenzio sulle violazioni commesse contro la popolazione palestinese rafforza il sistema israeliano di apartheid e incentiva ulteriori violazioni dei diritti umani.

Eppure, nel suo Parere consultivo del luglio 2024, la Corte internazionale di giustizia era stata chiarissima: la presenza di Israele nel Territorio palestinese occupato è illegale e deve finire al più presto. Quasi un anno dopo, quella presenza sta avendo conseguenze sempre più gravi.

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