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Ultimo aggiornamento: 21:41 del 1 Giugno

Gaza, Travaglio sul Nove: “Discutere di genocidio è importante per gli storici, io preferisco pensare a cosa fare dopo: non c’è un piano”

Il direttore del Fatto Quotidiano ha spiegato perché più delle battaglie lessicali, gli interessano quelle pratiche: "Servirebbe qualcuno che costringa Netanyahu ad andarsene in galera e capire cosa succederà quando nella Striscia si smetterà di morire sotto le bombe"
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“A Gaza si sta riducendo la popolazione a livelli pre-umani, a livelli bestiali perché i palestinesi si levino della testa per qualche decennio un progetto politico e un’identità nazionale comune“. Così Marco Travaglio ospite di Accordi&Disaccordi, il talk condotto da Luca Sommi sul Nove con la partecipazione di Andrea Scanzi. Il direttore del Fatto Quotidiano è intervenuto in merito al dibattito sull’uso del termine “genocidio”: “Penso che sia giusto che i professori che studiano queste cose si esprimano su questo. – ha premesso – Io penso che i genocidi si verifichino quando tu ti proponi di sterminare un intero popolo. Il popolo palestinese è diviso purtroppo in tre parti: la serie A – relativamente alla serie B, alla serie C, non in assoluto, è quella che abita, vota e lavora in Israele. Quella non è in discussione. Poi c’è la serie B che vive in Cisgiordania, in un regime che prima il professor Canfora ha definito di ‘apartheid’ perché, essendo occupato militarmente, ma non annesso, non vota e non ha diritti se non quelli di chi vive sotto uno stato di occupazione militare”.

Alla fine di tutto, ha spiegato il giornalista c’è “l’inferno su terra che è la serie C, l’ultima, la sotto Z, che è Gaza dove c’è questa mattanza, questa tonnara che dura da venti mesi. Io non mi appassiono alle discussioni sulle parole perché ho come l’impressione che il fatto di usare parole molto forti sia diventato un alibi per quelli che poi oltre a quelle parole forti non vogliono fare niente”, ha detto. “A me piacerebbe che ognuno dicesse ‘genocidio’, ‘sterminio’, quello che vuole, ma poi facesse qualcosa. Invece molto spesso c’è questa gara a chi l’ha detto prima, ma alla fine le chiacchiere stanno a zero perché di fatti non se ne vedono. – ha proseguito – Quindi il problema vero è che qua servirebbe qualcuno che costringa Netanyahu, con le buone o con le cattive, a smetterla e ad andarsene, possibilmente in galera, visto che ha anche dei processi per cose più banali rispetto agli stermini che sta facendo, ma politicamente gravi come la corruzione e che si cominciasse a discutere di che cosa succederà dopo. Io sento dire che ci sono dei piani, ma non c’è nessun piano, ci sono delle velleità criminali come quelle di deportare i palestinesi, che però dove dovrebbero andare? Non è un piano”.

Infine, “dall’altra parte ci sono questi che continuano a declamare ‘due popoli due Stati’, ma dove? Con chi? Con quali classi dirigenti ne discuti? Abbiamo presente che cosa è diventata la Cisgiordania in questi ultimi 15 anni? Una specie di terra impossibile di slalom fra un insediamento e l’altro: erano già troppi quando si decise di cominciare a smantellarli con gli accordi di Oslo, figuriamoci adesso”, ha concluso Travaglio.

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