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Elezioni in Venezuela: spero che anche per l’Italia suoni presto l’ora della dignità nazionale

La posta in gioco è altissima, dato che ne va del nostro futuro come specie e del destino delle giovani e future generazioni
Elezioni in Venezuela: spero che anche per l’Italia suoni presto l’ora della dignità nazionale
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Mi trovo al momento in Venezuela, per la quinta volta in meno di un anno, per monitorare gli sviluppi della situazione e incontrarmi con numerosi militanti e dirigenti popolari provenienti da tutto il resto del mondo, la cui presenza consacra Caracas come capitale mondiale dell’antifascismo, in un momento del quale di antifascismo c’è più che mai bisogno, un po’ dappertutto nel mondo ma specialmente da noi in Italia.

Questa visita è stata caratterizzata dalle elezioni che si sono svolte domenica scorsa e hanno visto il travolgente successo del Partito Socialista Unito del Venezuela, del Gran Polo Patriotico e del Presidente Maduro, che era stato confermato dalle elezioni presidenziali di fine luglio. Lo schieramento in questione ha ottenuto infatti l’82% dei voti alle elezioni (sul totale dei votanti, ossia il 42% degli aventi diritto secondo il Consiglio nazionale elettorale, dato che ho potuto constatare personalmente come veritiero nei seggi che ho visitato, mentre l’opposizione ritiene che solo il 12,5% si sia recato alle urne) per il rinnovo totale dell’Assemblea nazionale e ben 23 governatori su 24. Un elemento importante è stata la partecipazione, per la prima volta, della popolazione della Guinea Esequiba, il territorio ricco di risorse al confine con la Guyana, su cui da tempo gravano le pretese della società multinazionale Exxon Mobil e che il governo Maduro e un referendum popolare svoltosi di recente considerano parte del Venezuela.

Si tratta di vicenda alquanto emblematica perché mette in evidenza la contraddizione tra imprese e popoli, che costituisce un punto nodale dell’attuale dibattito sulla democrazia a tutti i livelli. La svendita dei poteri sovrani ai privati distrugge ogni possibilità dei popoli di contare nelle scelte che vengono effettuate. Il prevalere degli interessi delle aziende produce effetti nefasti. Per favorire quelli del complesso militare-industriale si sperperano risorse in strumenti distruttivi e si aumenta il rischio di una catastrofica conflagrazione bellica. Per favorire quelli dell’energia fossile si continua a ritardare l’adozione di misure efficaci contro il riscaldamento globale. E così via.

La liquidazione dell’interesse pubblico è oggi alla base della crisi, probabilmente irreversibile, dell’Unione europea, così come dell’ascesa in tutto l’Occidente capitalistico di razzismo, fascismo, sionismo e altri fenomeni deteriori che, insieme a guerra e devastazione ambientale, minacciano di liquidare a breve almeno tre millenni di storia e di civiltà umana.

La posta in gioco è quindi altissima, dato che ne va del nostro futuro come specie e del destino delle giovani e future generazioni. Oggi più che mai si ripropone il fatale dilemma fra socialismo e barbarie, enunciato oltre un secolo fa da Rosa Luxemburg. Da questo punto di vista l’esperienza che sta realizzando il socialismo bolivariano da oltre 25 anni è davvero molto preziosa, dato che è riuscito a sottrarre un Paese ricco di risorse alle grinfie dell’imperialismo statunitense, delle imprese multinazionali e della corrotta e avida oligarchia locale, oggi rappresentata da un personaggio fortemente squalificato, ma fino a poco tempo fa osannato dalla stampa internazionale, come Maria Corinna Machado, grande amica e seguace di Trump, Bolsonaro, Milei, Netanyahu e simili.

Il seguito di quest’ultima in Venezuela è ridotto davvero al lumicino, come dimostra l’esito delle elezioni di domenica scorsa. Le destre venezolane hanno agitato a lungo lo spauracchio della guerra civile e dell’intervento esterno, organizzando l’eliminazione dei quadri chavisti (47 vittime lo scorso luglio dopo la vittoria di Maduro alle presidenziali) e tentando azioni terroristiche fino a pochi giorni fa; ma la rete terroristica dell’estrema destra è stata fortunatamente smantellata dai servizi venezolani.

Anche in Italia il governo, per quanto espressione di forze di destra, ma anche lo stesso Pd, che continuano a parlare in modo insensato di Maduro come un dittatore, devono aprire gli occhi sulla realtà e capire fino in fondo che il popolo venezolano ha scelto il Gran Polo Patriotico perché vuole pace, stabilità, sviluppo e democrazia. Strana dittatura del resto quella che nel corso di 25 anni ha praticato il più intenso ricorso alle elezioni rappresentative che la storia ricordi, e che sperimenta in continuazione nuove forme di democrazia diretta come le Consulte popolari.

Il Venezuela è oggi un Paese che ripudia fortemente il fascismo e la violenza, che pure hanno tentato più volte di avvelenarne l’esistenza durante gli ultimi anni e che vuole affermare la propria autentica sovranità nazionale e popolare, emancipandosi dal giogo imperialista che ne ha condizionato per troppo tempo le scelte. Inoltre il governo venezolano è impegnato a riscattare i propri cittadini deportati da Trump nelle infami galere salvadoregne, vittime del razzismo del Paese dove pensavano di trovare il paradiso e hanno invece trovato l’inferno.

Oggi il Venezuela punta su un equilibrio internazionale multipolare in cui a ogni popolo sia consentito di essere sovrano in casa propria, senza dover sottostare a diktat altrui, si tratti di Stati o di potentati privati. Ne prenda atto il governo italiano e tutta la nostra classe politica composta più che altro di sottonisti intenti spudoratamente alla cura del proprio particolare e disposti per il resto ad andare a rimorchio di pazzi guerrafondai e criminali genocidi, si chiamino essi Von der Leyen o Netanyahu, mettendo a rischio la nostra sicurezza. Anche per l’Italia suonerà presto, si spera, l’ora della dignità nazionale e della tutela degli interessi del popolo.

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