In Venezuela si tornerà a votare anche nel mese di dicembre. Questa volta non sono però i comizi elettorali dell’opposizione a tenere banco, ma un referendum sul territorio dell’Esequibo (anche chiamato Guayana Esequiba): un fiume, l’Esequibo, che identifica una annosa contesa territoriale tra la Repubblica Cooperativa di Guyana (o più semplicemente Guyana) e il Venezuela.

Domenica 3 dicembre infatti, Nicolás Maduro (Presidente del Venezuela) ha indetto un referendum consultivo di annessione, composto da 5 punti, per la difesa della Guayana Esequiba, territorio dall’enorme biodiversità che si estende per 159 542 km² e che da 130 anni si trova al centro di una diatriba legale, contesa iniziata con l’allora impero britannico ed ereditata dall’attuale Guyana. La Guyana, colonia britannica dal 1814 e diventata indipendente nel 1966, non è però intenzionata a “perdere” questa estensione di territorio che corrisponde a quasi due terzi dell’intera superficie di questo piccolo Stato sudamericano e che nasconde enormi ricchezze in termini di risorse naturali.

Il caso infatti è tornato “di moda” dopo che nel 2015 la compagnia petrolifera Exxonmobil ha annunciato di aver trovato un importante giacimento di petrolio sulla costa della Guyana, in particolare nella zona dell’Esequibo. Il Venezuela non ha mai concesso i diritti di esplorazione a Exxonmobil che però ha negoziato le autorizzazioni con il governo della Guyana nel 2017, dicendosi esterna alla contesa territoriale. Nel 2022 la compagnia petrolifera ha comunicato la scoperta di altri due importanti giacimenti e nel frattempo, tra il 2020 e il 2022, la Guyana ha quadruplicato le sue esportazioni di petrolio.

Come detto, il disaccordo su chi possa esercitare la sovranità sulla Guayana Esequiba viene da lontano e risale ad un’epoca ancora antecedente all’arrivo dell’impero britannico. Lo Scudo della Guiana, corrispondente alla porzione settentrionale del cratone Amazzonico, dove si trova il Massiccio della Guiana, è una zona ancestralmente abitata dai popoli indigeni Sarao, Warao Arawako, Kariña, Patamuná, Arekuna, Akewaio, Wapishana e Makushi, tra gli altri.

Questa regione geografica è situata nella parte nord dell’America meridionale e si affaccia sul Mar dei Caraibi. Parliamo di una formazione geologica con una età compresa tra i 2,5 e 1,9 miliardi di anni (Precambriano), composta dai maestosi altopiani chiamati tepui e dove si originano le impressionanti cascate Kaieteur, Kuquenan e il Salto Angel. Il Massiccio della Guiana è oggi situato tra i territori della Colombia, Guyana, Suriname, Guyana francese, Brasile e Venezuela, ma all’epoca dell’arrivo degli europei sulla coste di Abya Yala (termine usato dagli indigeni Guna per definire le Americhe) la guerra iniziale venne combattuta tra spagnoli e olandesi. Infatti i primi tentativi di stabilire delle colonie sulle coste avvistate da Cristoforo Colombo nel suo terzo viaggio (tra maggio del 1498 e novembre del 1500) furono portati avanti dagli spagnoli, ma ben presto la zona attirò gli interessi dei commercianti olandesi.

Già nel XVI secolo erano presenti delle comunità di coloni olandesi all’est del fiume Esequibo (colonie di Demerara, Berenice ed Esequibo) come segnalato dal trattato di Monaco di Vestfalia (Münster) nel 1648, spartiacque che poneva fine alla guerra delle insorte sette province dei Paesi Bassi contro l’impero degli Asburgo. Tra il 1814 e il 1815 le tre colonie che formavano la chiamata Guayana dei Paesi Bassi passano sotto il dominio britannico, passeranno ad essere chiamate Guayana Britannica e formeranno il nucleo di un territorio che verrà presto ampliato de facto per le mire espansionistiche di Londra: espansione iniziata già nel 1824, come constatato dal nostro connazionale Agostino Codazzi che, tra gli altri talenti e professioni, annoverava quella di cartografo in Venezuela.

Mentre l’impero britannico si espande, il nascente nuovo stato venezuelano (sorto sulla base di quella che fu la Capitaneria Generale del Venezuela) non cede e ratifica nella Costituzione del 1830 quella parte di mappa come territorio soggetto alla propria sovranità nazionale. Codazzi non era però l’unico cartografo a realizzare mappe, infatti nel già nel 1834 il naturalista tedesco Robert Hermann Schomburg (al servizio della corona britannica) iniziò a tracciare nuovi confini che davano conto dell’espansione delle colonie del Regno Unito. L’incertezza sulla reale frontiera tra il territorio della colonia britannica e la repubblica del Venezuela portò quest’ultimo a realizzare una protesta formale nel 1895 invocando la dottrina Monroe del 1823 (sintetizzata in America per gli americani). Questo portò alla firma del protocollo di Washington nel 1897 per dirimere amichevolmente la questione, disputa che venne risolta con la sentenza di Parigi del 1899: il verdetto rigetta in toto le rivendicazioni venezuelane e accetta in modo integrale la visione britannica della contesa.

La Repubblica del Venezuela impugna la sentenza e denuncia la corruzione dei giudici ma sarà solo nel 1962, dopo una ulteriore denuncia alle Nazioni Unite, che la Gran Bretagna si dirà d’accordo nel riaprire il caso. Nel 1966 arriva però l’indipendenza della Guyana con la quale il Venezuela firma a Ginevra dello stesso anno un accordo per risolvere in modo pacifico e arbitrato il tema.

Una articolata matassa storica irrisolta che ci porta ai giorni nostri, dove da un lato il presidente della Guyana, Irfaan Ali, ha guidato pochi giorni fa una piccola spedizione militare che dalla capitale Georgetown è arrivata via aerea nel territorio della Guayana Esequiba per piantare la bandiera nazionale e dichiarare che non verrà ceduto neanche un centimetro di terra alla vicina Venezuela. Dall’altro Maduro che non solo prepara il referendum ma che approfitta dell’anniversario della formazione della forza aerea venezuelana (103 anni) per chiamare all’unità nazionale e allo spirito di sacrificio per la definitiva riconquista della “Patria Esequiba”.

Il caso nel 2018 è arrivato alla Corte Internazionale di Giustizia che negli ultimi giorni è stata sollecitata dalla Guyana per evitare lo svolgimento del referendum consultivo di annessione da parte del governo di Caracas, precisando che si tratta di una minaccia esistenziale per il governo di Georgetown e che un’azione unilaterale del Venezuela potrebbe scatenare il caos nella regione. Una zona abitata ad oggi da migliaia di persone che aspettano di sapere se dovranno cambiare o meno il loro documento di identità.

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