Descalzi e la mediazione di Eni sul caso di Alberto Trentini: la possibilità di diplomazia economica in Venezuela
La presenza dell’Eni a Caracas potrebbe essere d’aiuto per la liberazione di Alberto Trentini. L’ipotesi si è insinuata ieri, a Roma, fra le mura dell’aula della Corte d’Assise, durante la deposizione di Claudio Descalzi, amministratore delegato della società petrolifera italiana, all’udienza per l’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni. “Nel momento in cui abbiamo delle informazioni possiamo mettere questi elementi a disposizione di chi ha le competenze”, ha detto Descalzi, rispondendo a una domanda posta dall’avvocatessa Alessandra Ballerini, legale di Regeni e del cooperante veneto arrestato in Venezuela da oltre sei mesi, sulla possibile attivazione dell’Eni in determinati casi. L’amministratore delegato ha ricordato che l’azienda è una società quotata in borsa, il cui 70% è in mano ad azionisti presenti in tutto il mondo, e rispetta “regole di segregazione”. Cioè, l’azienda petrolifera ha “competenze ingegneristiche, forse anche commerciali” e difficilmente può essere sollecitata per coprire un ruolo diplomatico. E a differenza dell’omicidio Regeni – che l’Eni sostiene di aver appreso sulla stampa – l’azienda viene a conoscenza dei casi di sparizione di italiani all’estero che si protraggono per “un periodo molto lungo”. Ma al di là dei ragionevoli limiti posti dall’amministratore delegato, resta il fatto che l’azienda ha la possibilità di fare da trait d’union – anche solo per meri scopi estrattivi – tra Roma e altri Stati con cui i rapporti non sono sempre facili.
Diplomazia economica – Il ruolo cerniera dell’Eni in Paesi terzi rientra nell’ambito del Protocollo d’intesa sottoscritto il 1° settembre 2008 tra il Ministero degli Affari Esteri ed Eni Spa con la finalità di “elevare la presenza del Sistema-Italia all’estero”, “rafforzare il raccordo” tra l’azienda petrolifera e la Farnesina e “scambiarsi informazioni sulla realtà economica, istituzionale, e sociale dei paesi oggetto di interesse”. L’accordo prevede il distaccamento di un rappresentante dell’Eni presso la Farnesina e l’assegnazione di un funzionario diplomatico a San Donato. Il protocollo, citato anche da Ballerini durante l’udienza, è stato oggetto di analisi nell’inchiesta “Tutti gli uomini del ministero – Gli strani intrecci tra l’Eni e la Farnesina” pubblicata nel 2021 da Re:common. L’indagine ripercorre l’azione diplomatica, e talvolta anche militare, dell’azienda in Paesi come Libia, Iraq, Russia ed Egitto. Tra gli esempi spunta anche l’accordo siglato da Eni e Gazprom fino al 2035, che trasformava l’azienda nel primo partner del colosso russo. Già all’epoca – si legge sempre nell’inchiesta – si parlava di due Cabine di regia, “Energia” e “Ambiente e Clima” – all’interno della Farnesina e nelle quali i funzionari distaccati dell’Eni ricoprivano un ruolo strategico, partecipando anche “nella veste di funzionari del ministero”.
L’Eni e il Venezuela – Quella dell’Eni in Venezuela è una presenza stabile, che sembra resistere anche all’embargo petrolifero dell’amministrazione di Donald Trump sul Paese sudamericano. Dopo l’ultima stretta del tycoon su Caracas, l’Eni ha assicurato di aver ricevuto da Washington la comunicazione di revoca delle licenze estrattive e si è appellata alla produzione di gas, finora remunerato con petrolio, che garantisce parte del fabbisogno interno della nazione. Nell’occasione Eni ha sottolineato la continuità di “un dialogo trasparente con le autorità statunitensi” al fine di “individuare opzioni che garantiscano la remunerazione”, da parte della statale Pdvsa, “delle forniture di gas” non sottoposte a sanzioni. Eni ha quindi sottolineato la necessità di preservare le aree di intervento nel Paese scongiurando il rischio di una crisi sociale. Ne sono consapevoli al Palazzo di Miraflores, dove le stime del 2025 prevedono già una contrazione del Pil dal due all’otto per cento e un’inflazione a tre cifre. E la crisi resterà al di là della concessione o meno della cosiddetta licenza minima degli Usa alla multinazionale Chevron. La presenza dell’Eni non è quindi irrilevante nel Paese sudamericano, soprattutto se si tiene conto di determinate aree di intervento: il 50% del giacimento “Perla” situato nel Golfo del Venezuela, una partecipazione del 40% nel blocco “Junin 5” dell’Orinoco e altre concessioni estrattive che la rendono di rilievo agli occhi di Caracas.
Vite parallele – Torniamo alla corte d’Assise, all’aula, al processo Giulio Regeni. C’è fame e sete di giustizia per il giovane ricercatore ucciso in Egitto dal 2016. E pur in mezzo al dolore c’è anche spazio per fare il nome di Alberto, come indicato da don Luigi Ciotti. Non è la prima volta che i nomi di Giulio e Alberto vengono fatti insieme. Le due storie si abbracciano nell’appello lanciato qualche mese fa dai genitori Regeni a “Che tempo che fa” sul caso Trentini: “Vogliamo che questo giovane italiano torni a casa sano e salvo. E che sia rispettato come portatore di pace”. L’opportunità: salvare Alberto, abbracciando il ricordo di Giulio. Nel frattempo, a Caracas, una volta archiviate le amministrative del 25 maggio, si spera che il presidente Nicolas Maduro possa mettere in pratica un gesto di clemenza nei confronti dell’operatore umanitario. Magari nel ricordo di papa Francesco, e nell’ambito dell’Anno Santo. “Propongo ai governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza – scriveva papa Bergoglio nella bolla di indizione -; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società”.
(ha collaborato Alberto Sofia)