Nove verità nel segno di Morrissey. L’impopolarità, per lui, non è un rischio
Morrissey ha compiuto gli anni. C’è chi lo festeggia. E chi invece “ce lo manda”. Ancora una volta. Perché Morrissey è questo: una figura che non smette mai di dividere. Di recente ho scritto un post dedicato a lui sulla pagina pubblica di Facebook connessa a questo blog. E, come sempre accade quando di lui si parla, le interazioni si moltiplicano. I commenti si accavallano, le opinioni si polarizzano, e l’impressione è che “Moz” riesca ancora a toccare corde scoperte, nel bene e nel male. È proprio questo che mi ha spinto ad approfondire: tornare sulla sua figura, provare a definirla una volta di più — e, perché no, anche rispondere ad alcune delle cose che avete scritto.
Nei consueti nove punti di questo blog, provo a scavare nei meandri di un personaggio la cui presenza, ancora oggi, non lascia scampo. Cominciamo!
1. La sua forza
Ogni anno, puntuale, si ripete lo stesso rito: auguri e insulti. Morrissey divide come pochi altri artisti, e lo fa con la naturalezza di chi non chiede di essere amato. La sua forza sta nel restare, da sempre, fuori dal coro. Non cerca consenso, e proprio per questo lo genera o lo distrugge. Lo si celebra o lo si rifiuta, ma mai lo si ignora.
2. Molto più di un cantante
Per chi è cresciuto con gli Smiths, Morrissey è molto più di una voce. È un filtro attraverso cui guardare il mondo, e soprattutto se stessi. Non si limita a raccontare emozioni: le mette in ordine, le definisce, le rende dicibili. Costruisce i codici di una grammatica sentimentale, offrendo dignità a chi si è sempre sentito fuori posto. Le sue parole scavano, riportano alla luce verità rimosse. Per molti non sono state soltanto un conforto: sono state una forma di salvezza. C’è chi racconta, con pudore e precisione, che le sue canzoni gli hanno letteralmente salvato la vita.
Morrissey dà voce a chi non trova posto. Ma il suo non è solo un lessico della malinconia: è una lingua stratificata, costruita su ironia, disprezzo, sarcasmo, orgoglio, lucidità morale. Non accarezza, punge. Non consola, provoca. Rende poetico il non appartenere, ma anche legittimo lo sguardo feroce su un mondo che ha sempre osservato da fuori. È una voce che non cerca accoglienza né comprensione: è fatta per disturbare, per incidere, per lasciare segni anche dove non erano richiesti.
4. L’ironia è un’armatura
Fai attenzione: Morrissey non cerca rifugio, ma un campo in cui battagliare senza alcuna paura, nel nome della libertà. Quella di essere. Non è solo portavoce del dolore, ma di una sensibilità che smette di chiedere permesso. Una forza lucida e selettiva, che molti riconoscono come propria e che non ha bisogno di giustificazioni. In lui la vulnerabilità non è un limite, ma un’estetica. L’ironia è un’armatura, la fragilità la sua arma.
5. Una mappa culturale
Letteratura, vegetarianesimo militante, estetica rétro, rifiuto delle definizioni imposte. Ogni dettaglio racconta un mondo che chi lo segue riconosce come proprio. Non si tratta solo di ascolto, ma di appartenenza. Lui è una mappa culturale, un orizzonte esistenziale, un’enciclopedia vivente di stile, etica e disincanto. Non propone un modello: propone un mondo.
6. Il fastidio delle sue idee
Negli ultimi anni, ad allontanare molti non sono state le canzoni, ma le sue parole. Dichiarazioni scomode sull’immigrazione, sulla monarchia, sull’identità inglese. Uscite provocatorie, ambiguità politicizzate, sfide aperte al pensiero dominante. È insofferente alla prudenza, ostile alle formalità. Non si modera, non si spiega, non si giustifica; una coerenza verticale, e l’altezza, è risaputo, genera vertigine. L’impopolarità, per lui, non è un rischio: è una posizione.
7. Una presenza scomoda
Chi lo rifiuta spesso non lo fa per la musica, ma per ciò che rappresenta: contraddizione, libertà intellettuale, resistenza alle etichette. Morrissey è strutturalmente indecifrabile, refrattario a ogni riduzione. Non offre formule facili, non cerca di farsi capire: chiede di essere interpretato. Per alcuni è intollerabile proprio per questo. È una presenza scomoda, che disturba chi pretende chiarezza assoluta, chi confonde profondità con disordine; non è difficile da comprendere: è difficile da tollerare.
8. Un tarlo
C’è un’immagine che gli calza a pennello: il tarlo. Morrissey non travolge, corrode. Non arriva per sedurti, ma per insinuarsi. Lavora piano, in profondità, lasciando solchi invisibili ma duraturi. Entra nella testa, nei dialoghi, nelle frasi che ti scopri a pensare senza volerlo. Anche chi lo ha dimenticato, reagisce a lui. Anche chi lo rifiuta, lo cita. Alla fine, Moz è un effetto collaterale: silenzioso, ma persistente. È un segno che resta — anche per chi non lo vuole.
9. Un passaggio obbligato
A prescindere che tu l’abbia vissuta come un’educazione sentimentale, o subita come un fastidio: la sua voce ha lasciato un segno. Non per tutti è stata una guida, ma per molti ha rappresentato un passaggio obbligato. C’è chi ci si è riconosciuto, e chi ha preferito rimuoverla. Ma nessuno, davvero, è riuscito a ignorarla. Morrissey continua a occupare uno spazio — non sempre comodo, non sempre voluto — ma reale, e soprattutto incancellabile.
Al solito, questo blog prevede una connessione musicale con una playlist dedicata, che potrai ascoltare sul mio canale Spotify. Se ti va, puoi lasciarmi qui sotto nei commenti la tua opinione su Moz, oppure raggiungermi su Facebook, dove la conversazione continua. Ti aspetto.
Buon ascolto.
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