Tottenham-United, da tempo non si vedeva una finale così brutta: se fossero state due italiane, cosa avrebbero detto gli inglesi?
Da tempo non si assisteva a una finale così brutta come quella di Europa League a Bilbao, in cui il Tottenham ha interrotto con l’1-0 sul Manchester United un digiuno di trofei che risaliva al 2008. Lo stesso evento che ha deciso il match, un gol del gallese Brennan Johnson al 42’ del primo tempo, con un tocco impercettibile su quella che è sembrata, in realtà, un’autorete di Shaw, ha rappresentato la mediocrità di un match in cui la squadra londinese ha totalizzato una precisione nei passaggi del 66%, con un possesso palla del 35%. I numeri dicono che ha alzato il trofeo chi ha giocato peggio – lo United ha registrato l’86% di precisione nei passaggi e il 65% nel possesso – ma, almeno, ha mostrato più cuore e più umiltà. Consapevole dei suoi limiti, il Tottenham ha difeso l’1-0 con due linee di cinque uomini per proteggere il portiere Vicario, protagonista con due parate importanti, dopo un paio di esitazioni. Gli Spurs nei momenti più caldi non si sono vergognati di rilanciare il pallone nel deserto della metà campo avversaria. Il Manchester United è sembrato un toro scornato: ha preso a capocciate il muro del Tottenham senza sgretolarlo. Una partitaccia, e vista in ottica italiana, Lazio e Roma devono mangiarsi le mani per l’occasione perduta. Aggiungiamo, per dovere di cronaca, i legittimi rimpianti dei tifosi dell’Athletic Bilbao, costretti a digerire l’eliminazione in semifinale della squadra di Valverde, sotto i colpi dello United.
Se in campo avessimo avuto due squadre italiane e questo spettacolo, il nostro calcio sarebbe stato impallinato con le solite accuse di catenaccio e tatticismo. La finale è stata invece un derby inglese, la diciassettesima (Tottenham) contro la sedicesima (Manchester United) della Premier. L’equivalente italiano sarebbe stato Lecce–Parma. Quello spagnolo, Siviglia–Espanyol. In Francia, dove il campionato è a 18 e retrocedono le ultime due, mentre la terzultima affronta il playout, avremmo avuto Angers-Le Havre. In Germania, altra lega a 18, St.Pauli-Hoffenheim. È legittimo pensare che pure in queste circostanze il livello non sarebbe stato esaltante, ma nel caso della Premier, parliamo del campionato più ricco, più seguito e più competitivo del mondo: un’aggravante.
Il calcio, alla fine, non mente: puoi sventolare un nome illustre, ma sei il tuo status attuale è modesto, non puoi nasconderti. Tottenham e Manchester United hanno mostrato tutti i loro limiti e difetti, con un’unica differenza. Gli Spurs hanno giocato consapevoli della propria modestia, mentre nei Red Devils c’è ancora l’arroganza dei bei tempi, quando dominavano il calcio inglese e giocarono tre finali di Champions tra il 2008 e il 2011. Ad un certo punto, nel grigiore di Bilbao l’ultima speranza per il popolo dello United è stata l’apparizione celestiale del Fergie Time, ovvero la capacità di ribaltare il risultato agli sgoccioli del match, come accaduto nella finale di Champions a Barcellona, in cui il 26 maggio 1999 i Red Devils disarcionarono il Bayern Monaco nel recupero, passando dall’1-0 del 91’ al 2-1 finale, con i gol di Sheringham (91) e Solskjaer (93’). Chiedere a Pierluigi Collina, arbitro di quella partita memorabile.
Invece nulla. Nell’assalto disperato, Vicario è stato decisivo con due parate decisive. Al resto ha pensato la pochezza di uno United, uscito a pezzi da questa notte di Bilbao. La mancata qualificazione in Champions, dove invece veleggerà il Tottenham, probabilmente con un nuovo allenatore, si traduce in un mancato incasso di oltre cento milioni di euro. Un handicap pesante, che si aggiunge al piano lacrime e sangue varato dal nuovo socio forte dei Red Devils, il miliardario britannico Jim Ratcliffe, livido al momento della premiazione. La spending review varata dal patron del gruppo chimico Ineos ha già fatto saltare 450 posti di lavoro. Il debito complessivo si aggira sulla cifra mostruosa di 1,2 miliardi di euro. Gli sponsor sono pronti a far scattare le penali. Un fuggi fuggi generale, al qual potrebbero non sottrarsi i giocatori. Il capitano Bruno Fernandes ha già detto di essere pronto a sacrificarsi e ad accettare il trasferimento ai sauditi dell’Al-Hilal. Il “sacrificio” del portoghese nasconde, in realtà, una cifra pesante offerta non solo allo United – la voce che circola parla di 200 milioni di euro – ma anche al conto in banca del giocatore. Anche la posizione di Ruben Amorim, l’allenatore ex Sporting Lisbona in carica da novembre, è in discussione dopo la stagione disastrosa in Premier e l’esito della finale di Bilbao: rivedere, please, la faccia di Ratcliffe, fischiatissimo dai tifosi, quando ha consegnato la medaglia degli sconfitti al tecnico portoghese. Amorim ha già messo le mani avanti, dicendo che un licenziamento sarebbe una conseguenza naturale di questo fallimento e di essere disposto a togliere il disturbo senza alcun compenso in denaro. Il suo collega, l’australiano di origine greca Ange Postecoglou, saluterà gli Spurs, tranne ripensamenti dell’ultima ora, a testa alta. Aveva promesso: “Io conquisto sempre un trofeo nella seconda stagione di lavoro”. Così è stato e può liberare il sorriso.
Al livello basso della serata, non si è sottratta l’Uefa, con la figuraccia al momento della consegna delle medaglie. Tre giocatori del Tottenham, il capitano Son, Romero e Bentancur, sono rimasti a petto nudo perché non c’erano più medaglie disponibili. La federazione europea si è giustifica con un comunicato: “Con nostro grande dispiacere, non avevamo abbastanza medaglie sul palco durante la cerimonia di premiazione a causa di un’inaspettata discrepanza nel numero dei giocatori, poiché alla cerimonia hanno partecipato più membri della squadra, tra cui giocatori infortunati, di quanto inizialmente previsto”. L’Uefa, con i prezzi dei biglietti alle stelle nelle finali europee e con gli utili che aumentano di anno in anno, mette a disposizione 50 medaglie per le premiazioni, 25 a squadra. A parte la miseria della contabilità, significa non aver ancora capito che nel calcio moderno le grandi squadre hanno rose che raggiungono spesso 30 giocatori. Chi gestisce il football europeo ha il dovere di aggiornarsi: è il minimo sindacale.