La Francia e il gruppo “DDPF”: chi sono gli individui incappucciati che hanno attaccato le carceri

Si firmano “DDPF”, ovvero “Défense des droits des Prisonniers français” (Difesa dei diritti dei prigionieri francesi). L’acronimo è stato scritto sulla porta della prigione di Toulon-La Farlède, attaccata, nella notte di lunedì scorso, da un gruppo di individui incappucciati a colpi di kalashnikov. La stessa scritta è comparsa nell’atrio di un palazzo di Villenoy, nella regione di Parigi, dato alle fiamme perché ci abita un agente della polizia penitenziaria. Dei veicoli sono stati bruciati anche davanti alle prigioni di Villepinte, Valence, Nanterre, Aix-Luynes, Tarascona.
Una decina di istituti penitenziari sono stati attaccati in pochi giorni. E ogni volta è comparsa la stessa sigla: DDPF. Gli individui che “cercano di intimidire gli agenti penitenziari saranno trovati, processati e puniti”, ha promesso Emmanuel Macron. Chi c’è dietro questo gruppo misterioso? La pista seguita dagli inquirenti è un gruppo attivo sul social Telegram dal 12 aprile, che conta già diverse migliaia di iscritti. Il gruppo rivendica la sua missione: “Questo canale è un movimento dedicato a denunciare le violazioni dei nostri diritti fondamentali”. La prima foto del profilo era un fotomontaggio del ministro della Giustizia, Gérard Darmanin, sorridente, dietro le sbarre di una cella di prigione. La foto è stata poi sostituita con la copertina del libro “La Déclaration des droits de l’homme et du citoyen” (editore Dalloz, 2021), in cui la giurista Wanda Mastor commenta gli articoli del testo elaborato nel 1789.
Gli incappucciati si filmano mentre commettono le loro azioni e poi postano il video su Telegram. In un video, su cui è stata aggiunta la musica della serie tv “Gomorra”, si vede un agente penitenziario scendere dalla sua auto, poi la telecamera zooma sul numero di targa, quindi l’auto è data alle fiamme ed è ripresa mentre brucia. Sul messaggio l’agente in questione, di cui si fa nome e cognome, viene accusato di “abuso di potere”. In un comunicato si legge: “Sappiate che non siamo terroristi, ma siamo qui per difendere i diritti umani all’interno delle prigioni. La guerra l’hai scatenata tu Darmanin, noi vogliamo solo che i diritti umani siano rispettati. Ma monsieur Darmanin pensa alle elezioni presidenziali del 2027”. Dei messaggi vengono postati direttamente dalle prigioni: “Se nel 2025 possiamo guardare la tv, fumare le sigarette, mangiare tranquillamente nelle nostre celle, è solo perché gli anziani hanno combattuto per questi diritti fondamentali”.
Si denunciano le condizioni degradanti di detenzione, la riduzione delle uscite e delle attività, l’affollamento delle carceri, ma anche le pessime condizioni di igiene, la presenza di scarafaggi nelle celle. Il gruppo indica che le condizioni di detenzione sono peggiorate dopo il caso di Mohamed Amra, un boss della droga, accusato di furto e omicidio, evaso nel maggio 2024 durante un trasferimento nell’attacco del convoglio in cui si trovava, in cui sono morti due agenti penitenziari (Amra è stato poi trovato e arrestato lo scorso febbraio in Romania). Alcuni messaggi minacciano le guardie: “Dimettetevi finché potete se tenete alle vostre famiglie e ai vostri cari”. O ancora: “Le dimostrazioni di forza degli ultimi giorni non sono niente”. In un comunicato, il gruppo ha scritto: “Sappiate che il nostro movimento si estende in tutta la Francia”.
L’inchiesta, per tentato omicidio e reati in relazione a un’impresa terroristica commesse su persone depositarie dell’autorità pubblica, è stata affidata alla procura antiterrorismo. Il ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, ha chiesto misure di sicurezza rafforzate degli agenti e delle prigioni. Gli autori di questi attacchi non sono stati ancora identificati e gli inquirenti non escludono nessuna pista, né quella dei movimenti dell’estrema sinistra, né quella di un’ingerenza da parte di uno Stato estero. Invece Gérard Darmanin, principale bersaglio del gruppo, privilegia la pista del narcotraffico. “Non escludo niente – ha detto il guardasigilli -, ma quando si spara con i kalashnikov contro i centri penitenziari, è piuttosto il modus operandi di giovani delinquenti pagati qualche migliaio di euro per questo genere di azioni”.
Il ministro ha denunciato un “tentativo di destabilizzazione dello Stato”. Alcuni mesi fa Darmanin ha dichiarato guerra al narcotraffico, annunciando in particolare la creazione di prigioni ad altissima sicurezza con celle in totale isolamento per i cento narcotrafficanti più “pericolosi”. Ha già individuato quattro centri penitenziari in Francia perché vengano adattati ad accogliere il nuovo dispositivo, con un investimento di quattro milioni di euro: Arles, Vendin-le-Vieil, Condé-sur-Sarthe e Saint-Maur. A febbraio aveva detto: “Quando si è in prigione e si è un grande narcotrafficante, non si può telefonare e non si può avere una vita piacevole”. Stando ai sondaggi, Darmanin è oggi uno dei ministri più popolari. E la stampa francese sottolinea le gravi conseguenze politiche a cui si espone, soprattutto se gli autori di questi attacchi non dovessero essere presi in tempi brevi: Darmanin si sta giocando la sua “credibilità”.