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“Sindaco assassino e maledetto” non è diffamatorio: la Cassazione “salva” l’ex assessore di Amalfi per un post social

La Suprema Corte ha annullato la condanna inflitta al politico Andrea Cretella per gli insulti al primo cittadino
“Sindaco assassino e maledetto” non è diffamatorio: la Cassazione “salva” l’ex assessore di Amalfi per un post social
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Definire un sindaco e la sua giunta “assassini e maledetti” non è reato, ma critica politica, e si allarga lo scudo che protegge dalle accuse di diffamazione. Lo ha stabilito una recente sentenza di Cassazione, la numero 11571 del 2025 – presidente Rosa Pezzullo, giudice relatore Luca Pistorelli – che ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna a seicento euro di multa inflitta all’ex assessore di Amalfi Andrea Cretella, un politico locale molto attivo sui social, dai quali aveva bersagliato (e continua a bersagliare) il sindaco Daniele Milano e i suoi assessori. Il post di Facebook “incriminato”’, per il quale Cretella è stato assolto dopo le condanne in primo grado ed appello, fu pubblicato il 28 maggio del 2018, a corredo di una foto di una piazza piena di bus parcheggiati: “Guardate come Amalfi si è ridotta da quando è disamministrata dall’amministrazione comunale capeggiata dal sindaco Dott. Daniele Milano… e da un’opposizione fantasma… inesistente… che rappresenta la maggioranza degli elettori amalfitani. Vergogna. Una città famosa in tutto il mondo per la sua storia, cultura, bellezza, trasformata in un deposito di pullman e di gas nocivi per la salute… Assassini… Maledetti… Incapaci”.

Assistito in Cassazione dall’avvocato Michele Sarno, Cretella si era difeso spiegando che il post – nato da sollecitazioni e proteste dei cittadini per il mancato rispetto di un’ordinanza che contingentava l’ingresso dei bus – non era indirizzato alla giunta, ma era stato scritto a tutela degli amalfitani afflitti da un inquinamento di polveri sottili superiore alla media. Il processo si è giocato sulle parole “assassini” e “maledetti”, secondo il Tribunale di Salerno, “oggettivamente offensive della reputazione personale (e non solo di quella pubblica)” di Milano e dei suoi assessori, “per nulla funzionali all’esercizio della critica rispetto al fatto commentato” e quindi “un’aggressione puramente personale, diretta a colpire su un piano individuale senza alcuna finalità di interesse pubblico la figura morale dei soggetti criticati”.

La Cassazione ha sentenziato invece che la parola “maledetto” nel tempo ha “progressivamente perduto nel linguaggio comune qualsiasi funzione di epiteto ingiurioso”. Quanto alla parola “assassino” i giudici della Suprema Corte sottolineano che “se astrattamente considerata, presenta invece un’effettiva attitudine lesiva dell’altrui reputazione”. Però, aggiungono, il Tribunale non ha saputo valutaree il contesto in cui veniva scritta: “È infatti evidente”, si legge nella sentenza di annullamento, che Cretella “non abbia voluto accusare le persone offese di aver ucciso alcuno (…). L’impiego in chiave iperbolica del termine ha dunque un evidente fine provocatorio e assume una funzione meramente rafforzativa della critica, al fine di sottolineare la ritenuta gravità dei fatti denunziati”. Un epiteto oggettivamente insultante, quindi, viene ripulito col discrimine della critica politica: di qui l’assoluzione.

A settembre invece comincerà un altro processo in cui Cretella è di nuovo imputato per diffamazione del sindaco Milano. Questa volta sotto l’esame del Tribunale ci sono circa ottanta post, pubblicati tra febbraio e agosto 2022, nei quali il primo cittadino era oggetto, tra le altre, di queste espressioni: “Vergognati, Pinocchio giuda fannullone, zozzone, spocchioso, dormiglione; questo solo vuole fare mangiare bere, dormire e prendere lo stipendio a fine mese di 4.000 euro che gli amalfitani pagano; trovati un lavoro; invece di assumere con il sistema clientelare; dimettiti incapace, hai ridotto Amalfi in una porcilaia, appresso ai cafoni si impara a cafoneggiare”. E alcuni tra i commentatori hanno approvato, tra i quali un paio (imputati anche loro) che davano a Milano del “faccia di cazzo, beduino, monnezza, schifoso parassita e fannullone”. Chissà se l’ombrello della critica politica è abbastanza largo dal coprire anche questo.

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