Amy Coney Barrett, chi è la giudice della Corte Suprema scelta da Trump e ora prima nemica dei Repubblicani
Debole. Codarda. Traditrice. Una disgustosa imbrogliona. La destra americana non lesina gli insulti per Amy Coney Barrett, la giudice della Corte Suprema che Donald Trump ha nominato nell’ottobre 2020. Barrett sta dimostrando un’indipendenza che pochi ritenevano possibile. È ancora presto per dire se la giudice sta prendendo le distanze dall’ideologia giudiziaria che l’ha portata alla Corte Suprema. Nella gran parte dei casi, infatti, continua a votare con la maggioranza conservatrice. Ma ci sono segnali che la mostrano poco incline ad accettare la svolta impressa da Trump al governo degli Stati Uniti. E questo preoccupa, indigna, scatena la destra Usa.
Ha 53 anni, è nata a New Orleans, cresciuta nel Sud, devota cattolica, un marito e sette figli, Barrett sembrò nel 2020 la scelta perfetta per rafforzare la maggioranza conservatrice della Corte. Nel suo primo mandato, Trump aveva già avuto la possibilità – causa morte e dimissioni – di scegliere due giudici. La scomparsa di Ruth Bader Ginsburg gli diede modo di sceglierne un terzo a pochi mesi dalla fine del suo mandato. La scelta cadde proprio su Barrett. Il mondo liberal e democratico insorse. Trump la nominava mentre in diversi Stati si era già cominciato a votare per il suo successore. Di più: Trump osava sostituire Ginsburg, icona del progressismo americano, con una giudice di destra. Su questo sembravano infatti esserci pochi dubbi. Il maestro di Barrett era stato Antonin Scalia, il più influente giudice conservatore degli ultimi decenni. La sua filosofia giudiziaria era ispirata a testualismo e originalismo. Quindi, la Costituzione va interpretata letteralmente, nello spirito in cui venne scritta da chi la redasse, senza alcuna arbitraria e anacronistica intrusione della contemporaneità. Aborto, matrimonio e tutele per gli omosessuali, ma anche diritti sindacali, limiti all’uso delle armi, protezioni ambientali: una serie di diritti e cause progressiste sembrarono messe in pericolo dalla nomina di Barrett.
Le sue prime decisioni da Associate Justice of the US Supreme Court hanno confermato le previsioni. Barrett ha votato con i conservatori della Corte per cancellare il diritto all’interruzione di gravidanza a livello federale, contro eccessive restrizioni in tempi di Covid, per rafforzare i diritti delle istituzioni religiose contro le richieste dei gruppi LGBTQ+, per allentare le tutele ambientali, per dare libero corso alle esecuzioni capitali. Sono poi iniziate le prime incrinature. Barrett ha votato contro le raffinerie di petrolio nella causa Hollyfrontier Cheyenne Refining v. Renewable Fuels Association. Ha votato contro la pretesa di un ospedale cattolico di Sacramento di rifiutare un’isterectomia a una persona transgender. Si è arrivati infine allo scorso marzo, quando Barrett si è schierata con le tre giudici liberal – Sonia Sotomayor, Elena Kagan, Ketanji Brown Jackson – e con il presidente John Roberts, un conservatore centrista, nel negare il diritto di Trump di bloccare fondi già stanziati dal Congresso. L’ultima, clamorosa, presa di posizione c’è stata alcuni giorni fa, quando Barrett si è di nuovo unita alle tre liberal nel caso delle deportazioni di detenuti venezuelani in El Salvador. È vero che la sua adesione è stata parziale. Barrett ha espresso sostegno solo alla seconda parte e alla sezione B della terza parte dell’opinione delle tre liberal. Ma la sostanza non cambia. La giudice, nominata da Trump, ha affermato che Trump non ha il diritto di deportare stranieri sulla base di una vecchia legge di guerra, senza garantire loro il diritto alla difesa.
È a questo punto che i sospetti della destra MAGA sono diventati una certezza. Sui social sono cominciate a girare foto in cui si vede Barrett posare sorridente insieme alle tre liberal. Alcuni hanno segnalato le espressioni del suo viso – non esattamente entusiastiche – mentre ascoltava Trump nel discorso di febbraio al Congresso. Altri si sono lanciati in fotomontaggi particolarmente fantasiosi: uno la rappresenta completamente coperta di tatuaggi, proprio come un deportato venezuelano. Feroci i commenti alla sua decisione. “Nominare una donna è stato un enorme errore”, ha detto un’influencer Maga, Kim Katie USA. “Debole, codarda, traditrice. Barrett è tutto ciò che non va in questo Paese. È un’impostora assolutamente disgustosa”, ha spiegato Catturd, altra voce di primo piano del MAGA, tre milioni e mezzo di followers su X, che dice di disprezzarla quasi quanto Anthony Fauci. C’è chi l’ha messa sulla questione di genere, come il giornalista conservatore Jeff Younger, secondo cui “tutti i giudici uomini della Corte hanno votato in sintonia con la legge. Tutte le donne, in sintonia con i loro sentimenti”. Molti ormai la chiamano “Amy Commie Barrett” – commie come comunista. E se per alcuni è chiaro che “odia Trump”, altri la definiscono “un lupo sotto le parvenze di un agnellino”. Nonostante Trump l’avesse fino a ora difesa, anche la Casa Bianca è alla fine intervenuta. Il presidente “non è contento della decisione della giudice Barrett”, ha spiegato la portavoce Karoline Leavitt.
È ancora troppo presto per prevedere cosa diventerà Amy Coney Barrett. Subito dopo la sentenza sui deportati, la giudice ha preso posizione a favore del diritto dell’amministrazione di licenziare i dipendenti federali. Ma non bisogna sottostimare alcune cose. I nove giudici della Corte Suprema hanno un potere enorme, superiore per certi versi a quello dello stesso presidente. Sono nominati a vita dal presidente e, nelle loro sentenze, non devono rendere conto a nessuno – se non alla propria coscienza e interpretazione della Costituzione. In questo momento la Corte è probabilmente l’unico organo davvero in grado di sottoporre a revisione, dunque a controllare, le decisioni di Trump. Il presidente pensava di essere al sicuro con una maggioranza conservatrice alla Corte di sei contro tre. E invece non ci sono segnali buoni per lui. John Roberts, il presidente nominato da George W. Bush, si sta spostando al centro. Ma è appunto Barrett a preoccupare. Il timore della destra ha un nome: John Paul Stevens, il giudice conservatore nominato da Gerald Ford nel 1975. Lo consideravano un sicuro repubblicano. Al momento delle dimissioni, nel 2010, Stevens era il giudice più liberal della Corte. Solo il tempo dirà quindi se Amy Coney Barrett è un nuovo giudice Stevens. O se, invece, il temuto lupo è un docile agnellino.