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La Cassazione boccia il decreto Salvini: no a “padre” e “madre” sulla carta d’identità del figlio di due donne

Per la Suprema Corte il minore ha "il diritto di ottenere una carta d'identità rappresentativa della sua peculiare situazione familiare", quindi con la dicitura "genitori" abolita dal leghista
La Cassazione boccia il decreto Salvini: no a “padre” e “madre” sulla carta d’identità del figlio di due donne
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Il minore figlio di due donne ha “il diritto di ottenere una carta d’identità rappresentativa della sua peculiare situazione familiare“, quindi con la dicitura “genitori” invece di quelle “padre” e “madreimposte nel 2019 da un decreto dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Lo ha confermato la Corte di Cassazione con sentenza depositata l’8 aprile, respingendo il ricorso del Viminale contro la decisione della Corte d’Appello di Roma che a febbraio 2024 aveva ordinato la disapplicazione del decreto ministeriale e la correzione del documento. Quella sulle carte d’identità era stata una delle principali crociate ideologiche di Salvini ai tempi del governo Conte I: ignorando il parere negativo del Garante della privacy, il leader della Lega aveva fatto dietrofront rispetto all’innovazione introdotta nel 2015 (governo Renzi) che sostituiva la dicitura “padre” e “madre” con “genitori”. “Difenderemo la famiglia naturale fondata sull’unione tra un uomo e una donna”, aveva detto annunciando la novità.

Contro il provvedimento ha fatto ricorso al Tribunale di Roma una coppia di mamme, una naturale e una adottiva, di un figlio minorenne. I giudici hanno dato loro ragione sia in primo sia in secondo grado: la Corte d’Appello, ricorda la Cassazione nella sentenza di conferma, ha affermato che “le diciture previste dai modelli ministeriali” per l’emissione della carta d’identità non sonorappresentative di tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione”. L’effetto “irragionevole e discriminatorio” del decreto Salvini, quindi, sarebbe stato “quello di precludere al minore di ottenere una carta d’identità valida per l’espatrio, per le deficitarie caratteristiche della stessa, solo perché questi era figlio naturale di un genitore naturale e di uno adottivo dello stesso sesso”.

Ad aprile dello scorso anno il ministero dell’Interno ha impugnato la decisione in Cassazione tramite l’avvocatura dello Stato, sostenendo, in uno dei motivi di ricorso, che la disapplicazione del decreto violasse “il concetto di bigenitorialità attualmente in vigore nel nostro sistema giuridico”, contrastando così “i principi di ordine pubblico“. Una tesi rigettata dalla Suprema Corte: il decreto Salvini, si legge nella sentenza della Prima sezione civile – presidente Maria Acierno, estensore Alberto Pazzi – violava invece “il diritto di ciascun genitore di veder riportata sulla carta di identità del figlio minore il proprio nome, in quanto consentiva un’indicazione appropriata solamente per una delle due madri ed imponeva all’altra di veder classificata la propria relazione di parentela secondo una modalità (“padre”) non consona al suo genere“.

Dalla politica arrivano le reazioni soddisfatte delle opposizioni. Per l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, ora deputata Pd, “la Cassazione ha messo fine a una forma di bullismo di Stato perpetrata per anni da Salvini, che impose “padre” e “madre”, e da Meloni che ne ha fatto oggetto della sua propaganda politica. La Cassazione scrive nero su bianco che tutto questo è “irragionevole e discriminatorio”. Ora se ne facciano una ragione: esistono tanti tipi di famiglie e i documenti non possono ignorarlo”, scrive in una nota. Dal Parlamento europeo intervengono i rappresentanti del Movimento 5 stelle Mario Furore e Carolina Morace: “La Cassazione dà una lezione di civiltà a Matteo Salvini e a tutta la destra in generale. La sentenza che respinge il ricorso del ministero degli Interni sulle diciture “padre” e “madre” nei documenti d’identità fa la storia. Giustizia è fatta, tuttavia ci chiediamo quando arriverà il momento anche in Italia per una legge che riconosca tutti i bambini e tutte le famiglie, a prescindere dal loro orientamento sessuale”, dichiarano.

Festeggia anche il segretario di +Europa Riccardo Magi: “Salvini al ministero dell’Interno era anche questo: una crociata senza senso contro le inesistenti parole “genitore 1” e “genitore 2” sui documenti che aveva fatto sostituire con “padre” e “madre” a costo, diceva lui, di essere un “troglodita”. Bene, ci sono voluti anni ma la Cassazione ha finalmente messo fine ad una norma nata solo per discriminare”, afferma. Per Alessandro Zan, europarlamentare e responsabile Diritti del Pd, “la sentenza della Cassazione è storica e mette un punto fermo: la tutela dei diritti di tutti i figli è prioritaria. Negare a una bambina o a un bambino un documento d’identità che rappresenti “le legittime conformazioni dei nuclei familiari” è una violazione grave e discriminatoria. In sostanza è illegittimo scrivere sulla carta d’identità “madre” e “padre” quando la realtà familiare è costituita da due genitori dello stesso sesso, tramite il ricorso all’adozione per casi particolari. Si infrange così contro la realtà, la crociata ideologica portata avanti dalla destra nei confronti delle famiglie arcobaleno”.

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