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Il 5 aprile è stato un buon inizio. Ora il Pd si chiarisca le idee su pace e riarmo

La partecipazione al corteo per la pace di uno sparuto drappello piddino rischia di costituire, anche al di là della buona fede di chi ne ha fatto parte, l’ennesima intollerabile beffa
Il 5 aprile è stato un buon inizio. Ora il Pd si chiarisca le idee su pace e riarmo
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La manifestazione promossa dal Movimento 5stelle sabato 5 aprile a Roma e il suo enorme e indiscutibile successo rappresentano una grande e storica vittoria. Innanzitutto per il Movimento stesso, che ritrova la sua ispirazione originaria, quella che aveva affascinato gran parte del popolo italiano e che si era persa per la penosa degenerazione del suo profeta farlocco che, per ragioni ancora non del tutto chiare, aveva subito il resistibile appeal di Draghi e addirittura pure di Cingolani. Poi per l’unico campo largo che possa avere senso in Italia, quello della sinistra plurale ma unita sui temi della pace, del disarmo e dei diritti – tutti i diritti – non solo quelli “civili” strumentalmente sbandierati dai guerrafondai per gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica ed avallare l’ignobile frottola della superiorità culturale europea.

E soprattutto per il popolo italiano stesso che, per quanto vilipeso e scarsamente dotato di autostima, sa ritrovare se stesso nei momenti cruciali, come nel 25 aprile di quasi ottant’anni fa, quando la Resistenza antifascista liquidò l’occupante tedesco e i suoi servi locali, procedendo alla legittima giustizia sommaria nei confronti dei principali caporioni del fascismo il cui crimine più grave fu proprio la partecipazione alla guerra, che le Potenze dell’Asse persero grazie alla Russia sovietica.

In Italia esiste una lunga e squallida tradizione di subalternità allo straniero da parte della classe dirigente che si può far risalire almeno a Carlo VIII. La persona che meglio (peggio) incarna tale abitudine al servaggio spudorato è oggi Giorgia Meloni, che vediamo all’opera nella non facile ma esilarante parte di Arlecchina servitrice di due padroni, intenta allo sforzo erculeo ma poco lodevole di compiacere al tempo stesso Trump e Von der Leyen. Accondiscende allo stesso tempo alle peggiori richieste di entrambi, continuando al contempo a fomentare il massacro ucraino e quello del popolo palestinese, del quale è non solo politicamente ma anche giuridicamente complice in compagnia dei suoi ministri. Funge da quinta colonna degli Stati Uniti sulla questione dei dazi, diffondendo false voci tranquillizzanti e opponendosi in ogni modo alla costruzione di un’autonomia strategica, sia italiana che europea, che deve vedere al suo centro proprio l’emancipazione dalla servitù atlantica che, Biden o Trump, è la vera radice di ogni male.

Certo, la Meloni non è sola. L’accompagnano, oltre che i suoi più stretti alleati, l’insulso Tajani e il pacifinto (lui sì) Salvini, le minuscole falangi calendiane, pompate fino all’inverosimile dalla stampa del complesso militare-industriale e settori prevalenti, quantomeno a livello dirigenziale e di rappresentanze parlamentari, del Pd, votati anch’essi al riarmo e alla guerra, da Guerini all’impresentabile Picerno, a tanti altri “onorevoli” e burocrati di seconda e terza fila, non escluso qualche cosiddetto dirigente sindacale.

Ecco perché, sia detto per inciso, la partecipazione al corteo di sabato di uno sparuto drappello piddino rischia di costituire, anche al di là della buona fede di chi ne ha fatto parte, l’ennesima intollerabile beffa al popolo italiano e ai suoi autentici sentimenti pacifisti, ben radicati nella nostra cultura millenaria e che resistono nonostante l’impresentabile sfilza di ministri della “cultura” e dell’”istruzione” che ci hanno propinato negli ultimi tempi (non tutti peraltro solo meloniani).

Volendo sforzarci di dare un senso positivo a tale partecipazione, occorre quindi auspicare che essa costituisca la premessa di un chiarimento definitivo che dovrà necessariamente determinare la spaccatura di tale partito, dato che sulla questione della guerra e della pace non è ammissibile la coesistenza sotto le stesse bandiere. Altrimenti saremmo di fronte a un intollerabile svilimento della politica, colla sua riduzione a stomachevole ipocrisia e mero patto di potere a esclusivo vantaggio di ristrette cricche nazionali e locali. Cosa che peraltro il Pd è da molto tempo a questa parte e potrà cominciare a cessare di essere solo liberandosi delle sue appendici guerrafondaie interne, mandando i vari Gentiloni, Guerini, Picerno, Letta junior, ecc. a ricongiungersi col roboante Terminator Micron Calenda e colle destre strettamente intese.

Il 5 aprile, quindi, è stato un buon inizio ma la lotta contro il riarmo e la guerra, e per una collocazione internazionale dell’Italia e dell’Europa che siano all’altezza dei tempi (che senso ha oggi la Nato?) è appena cominciata ed ha una lunga strada davanti. Occorre auspicare che a tale lotta che vede come posta in gioco la sopravvivenza e la rinascita nazionale e il futuro delle giovani generazioni, si aggiungano i lavoratori e le lavoratrici italiane, superando le posizioni inaccettabilmente timide e confuse dei principali sindacati, che sono chiamati a convocare lo sciopero generale contro la guerra, ma sembrano tuttora restii a farlo, probabilmente per effetto di inaccettabili ordini di scuderia. Contro l’infinito squallore di tale subalternità va dato atto all’Unione sindacale di base, ai Cobas ed altri sindacati di porre da tempo, con seguito crescente, tale tema essenziale.

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