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Perché le sofferenze del popolo palestinese non indignano a sufficienza la libera società civile europea?

La rappresentazione del popolo palestinese è diversa da quella del popolo israeliano: sin troppo facile spiegare il fenomeno
Perché le sofferenze del popolo palestinese non indignano a sufficienza la libera società civile europea?
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di Francesco Grillo

Si provi a cercare su Google qualche informazione sulle vittime del 7 ottobre: Hila, Naama, Daniel, Noa Argamani, solo per citare alcuni dei primi nomi in cui ci si imbatte nel web. Ciò che si osserva è la presenza di nomi, appunto, ma anche di volti, di storie e di testimonianze in prima persona. Le immagini di Noa, in particolare, non le dimentichiamo facilmente; una ragazza colpita e presa in ostaggio mentre stava ballando ad un rave ha toccato nel profondo l’immaginario del civile e libero mondo occidentale, forse perché simbolo di un massacro compiuto da un altro mondo, quello di una civiltà barbara e arretrata, dove le donne non possono ancora liberamente ballare.

Il 7 ottobre è un giorno che ha diritto alla memoria, la sofferenza delle sue vittime ha un nome e un volto, ma soprattutto ha la possibilità di esser raccontata, espressa in parole, parole che trovano ampio eco su molti giornali italiani e non. Inutile dire che lo stesso non è possibile per le vittime palestinesi, nessuna delle quali ha nome; sono soltanto alcune organizzazioni umanitarie, guarda caso proprio chi vive a diretto contatto con la sofferenza di quel popolo, a fare dei nomi e raccontare delle storie. In generale, alla stampa e all’opinione pubblica, dei palestinesi non interessano le identità personali, non interessano i volti e i corpi, se non quelli dilaniati dalle bombe e straziati dalla fame. Per il resto i palestinesi sono soltanto numeri, quelli espressi dai bollettini e dalle statistiche dei morti fatti dai bombardamenti israeliani.

Questa è la rappresentazione del popolo palestinese, diversa è stata quella del popolo israeliano. Sin troppo facile spiegare il fenomeno, c’è un inevitabile fatto umano che non si può aggirare: la morte dei familiari tocca più di quella dei vicini di casa, quella dei vicini di casa più di quella di chi vive dall’altra parte del mondo, soprattutto se quest’altra parte del mondo è diversa e lontana da quella da noi abitata. La solidarietà non è universale, come pur vorrebbe quella religione cristiana a cui spesso si guarda quando si devono ricordare i valori europei; la solidarietà è inevitabilmente diseguale.

Eppure, quella civiltà europea per cui si è scesi in piazza avrebbe proprio quel compito di elevazione spirituale: se la solidarietà è inevitabilmente maggiore per coloro che più ci stanno a cuore, negli atti politici e giuridici, e dico io anche mediatici, non dovrebbero entrare in gioco questi fattori personali.

Quando la Rivoluzione Francese istituiva la modernità politica e civile nel nome della Libertà, dell’Uguaglianza e della Fratellanza, lo faceva in nome di un principio, quello della superiorità del diritto sulla forza, della legge universale sul privilegio personale. Ora, nel nome dei nostri attuali valori e principi, gli stessi di cui riconosciamo l’atto di nascita in quei gloriosi avvenimenti del 1789, gli stessi per cui oggi, ahimè, si proclama la differenza tra “noi e loro” – cosa che tra contraddice gli stessi principi a cui ci si vorrebbe richiamare – perché le sofferenze del popolo palestinese non indignano a sufficienza la libera società civile europea? Non si dovrebbe, proprio in virtù del glorioso superamento europeo del mondo aristocratico del privilegio, riconoscere, almeno negli atti politici, il primato della legge sulla forza, a prescindere dalla maggiore vicinanza che si sente per alcuni popoli?

Solo un esempio, per chiudere. Valga come risposta. Il 18 febbraio il presidente Mattarella, in occasione di un colloquio con il presidente del Montenegro Jakov Milatović, auspicava il rientro della Russia nel diritto internazionale. Il giorno successivo, incontrando il presidente israeliano Herzog, perdeva l’occasione di fare altrettanto. Peccato, un’occasione mancata per resuscitare il glorioso spirito dell’Europa.

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