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Così Trump accelera l’indipendenza della difesa Ue

Così Trump accelera l’indipendenza della difesa Ue
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Ieri la crisi finanziaria greca, oggi la crisi geopolitica tra Russia, Usa e Ucraina. Il comune denominatore è sempre lo stesso. L’Ue deve diventare grande. Ci riuscirà?

I corsi e ricorsi storici vichiani, mai come in queste settimane, sono fondamentali per capire dove andare e con quali compagni di viaggio. Ma prima credo sia utile riavvolgere il nastro della geopolitica europea e rileggere in chiave critica l’ultimo decennio.

Dodici anni fa il “granellino di sabbia” ellenico stava per mandare in panne il motore dell’Ue, dal momento che il sistema di investimenti, rischi e prestiti messo in piedi tra chi prestava ad Atene e chi da Atene spendeva (male e anche nella direzione malata dei prestatori) non era più sostenibile per una molteplicità di ragioni.

Da queste colonne io stesso ho raccontato da corrispondente e nel mio libro Greco-eroe d’Europa il disagio greco, le urla di protesta di chi, da piazza Syntagma, vedeva svuotarsi tasche e conti correnti, opportunità e futuro in nome della mannaia chiamata troika. Non dimentichiamoci dei suicidi da crisi, dei bambini che si accasciavano a scuola perché malnutriti, di chi ha visto andare in fumo la propria pensione per via dei provvedimenti presi dall’Ue e dalla troika.

In quelle settimane, molti analisti (tranne quelli dei paesi frugali, gli stessi che oggi puntano sul bazooka delle armi) concordavano su un punto: l’Ue doveva dotarsi di strumenti per prevenire la crisi, immaginando forme di debito comune, anche al fine di diventare finalmente maggiorenne e avviarsi da sola sulla propria strada.

Oggi, a distanza di quasi 15 anni, Donald Trump altro non ha fatto che accelerare quel processo alla voce difesa e geopolitica. Come poteva l’Ue anche solo immaginare di non rendersi indipendente dal punto di vista militare? E come potrebbe sostituire una sua forma di autonomia con, ad esempio, l’apertura di un ombrello nucleare che Emmanuel Macron ha proposto non per beneficenza, ma da un punto di osservazione e di azione sempre meno disinteressato?

Il concetto stesso di polo continentale autorevole, che abbia proprie capacità di difesa comune e di politiche economiche progressive (e non tarate sull’emergenza, come avantieri con la troika in Grecia, ieri con il Recovery Plan per il Covid e oggi con il Rearm per l’Ucraina) è un concetto che si basa su una semplice consapevolezza: la profondità geopolitica si conquista non a colpi di slogan o con qualche generica manifestazione, ma con una programmazione lungimirante che cerchi in rosso obiettivi da raggiungere e leve da azionare.

In questo senso la proposta di riconvertire fabbriche di auto in fabbriche di armi per costruire nuove relazioni e posizioni è una strada pragmatica da percorrere, accanto ad un postulato strategico: Ue e Usa possono attraversare fasi di dibattito, anche aspro e franco, o rapidi momenti di scarsa intesa, ma non possono decidere di procedere senza il faro dell’atlantismo.

Non serve a nessuno, se non ai distruttori di relazioni specialmente tra chi lavora per il depauperamento del Mediterraneo, immaginare un bivio: da una parte l’Europa e dall’altra l’America. Non avrebbe senso, né prospettiva.

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