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Mickey 17 rimane un capolavoro di fantascienza per più di un’ora. Poi… il crollo

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Mickey 17, ossia come passare da capolavoro di genere a B-movie da un’ora all’altra.
E sì che le aspettative erano alte, trattandosi del nuovo film di Bong Joon-Ho, l’autore di Parasite, che torna alla fantascienza con un film tratto dal romanzo Mickey7 di Edward Ashton. L’inizio promette bene: una satira feroce sulla società capitalista e un protagonista destinato a morire e risorgere all’infinito per il bene della missione spaziale. Peccato che, a metà strada, il film perda ogni ambizione e si trasformi in una sequela di luoghi comuni con tanto di storia d’amore forzata, villain macchiettistici e creature aliene di cartapesta.

La storia nasce dal romanzo Mickey7 di Edward Ashton, quindi non si può ascrivere il demerito tutto al regista. In scena, beniamini hollywoodiani al posto di sconosciuti attori asiatici: il ‘bello’ Robert Pattinson, la conturbante Naomi Ackie (nota per Star Wars, l’ascesa di Skywalker), più Mark Ruffalo e Toni Collette nei panni dei ‘perfidi politici’.

Capolavoro di fantascienza, Mickey 17 lo rimane per più di un’ora. La prima metà del film è inquietante e brillante: Mickey, un poveraccio oberato dai debiti, per salvarsi dai sicari del creditore si arruola per andare all’altro mondo (letteralmente), diventando ‘expendable’, viene cioè mandato a morire in modi assurdi (bruciato, smembrato, congelato) mentre il resto dell’equipaggio lo guarda schiattare con un misto di indifferenza e morbosa curiosità. E si può farlo perché, una volta schiattato, semplicemente lo si può ‘ristampare’, sia fisicamente che per tutto quello che nella zucca, grazie ad un formidabile backup cerebrale.

Sua unica consolazione è la relazione con Nasha (la Ackie), che però sembra più interessata alla sua immortalità che a lui. Intanto il governatore della missione, Kenneth Marshall (Ruffalo) e sua moglie Ylfa (Toni Collette) giocano a fare gli oppressori fascio-tecnocratici (ogni riferimento a Musk è puramente casuale?)

Il film è irresistibile, cult perfino, finché descrive le miserrime vite del povero Mickey, destinato a fare tutto ciò che nessun altro farebbe fino a tirare le cuoia. Poi rinasce, è vero, ma con l’angoscia di sapere che dovrà morire di nuovo e di nuovo e di nuovo. Inoltre, ad aggiungere ansia all’angoscia, tutti quelli in viaggio con lui verso il nuovo pianeta gli chiedono come sia il morire.

Ecco, fino a qui, il film è un capolavoro. E poi… il crollo. Il film imbocca la strada più scontata possibile: Mickey 17 viene dichiarato morto, ma nel frattempo stampano Mickey 18. I due si incontrano e ovviamente iniziano i dubbi esistenziali e le lotte intestine. Si aggiungano i mostri alieni, che sembrano un incrocio tra i vermi di Dune e le creature di The Mist. Il tutto condito da dialoghi sempre più generici e un finale telefonato.

Il problema di Mickey 17 è che sembra un Bong Joon-ho a metà potenza. Ci sono i suoi soliti temi (la lotta di classe, il cinismo del potere), ma stavolta mancano il ritmo e la cattiveria necessari per farli esplodere.

Chissà cosa avrà pensato Brad Pitt, uno dei produttori del film, quando ha visto il risultato finale. Certo è strano vedere un così grande talento come quello di Bong esprimersi tanto bene e tanto male nel medesimo film. Non è che durante le riprese ce ne hanno stampata una copia?

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