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Kaveh Akbar, la voce dell’altra America (Traduzione di Mia Lecomte e Andrea Sirotti)

Kaveh Akbar, la voce dell’altra America (Traduzione di Mia Lecomte e Andrea Sirotti)
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Kaveh Akbar è nato a Teheran (Iran) e si è trasferito con la famiglia negli Stati Uniti all’età di due anni. Poeta e romanziere, figlio di immigrati di religione musulmana e affascinato da altre tradizioni religiose, la sua produzione poetica è caratterizzata dalla ricerca di forme espressive personali di grande intensità emotiva, idonee alla esplorazione di temi controversi e complessi come l’identità, la cultura tradizionale e acquisita, la fede e l’impegno civile; e da una riconsiderazione delle forme chiuse tradizionali, occidentali come orientali, forzate fino all’implosione in una continua e sofferta indagine delle potenzialità evocative e sonore dell’inglese.

L’opera di Akbar – noto per le sue posizioni critiche nei confronti del regime iraniano e di ogni tipo di impero contemporaneo – spesso riflette le sue esperienze personali e le sue radici culturali. E la sua poesia, apparentemente interessata soprattutto alla ricerca di uno stile originale contemporaneo e un idoneo linguaggio poetico, è anche espressione di consapevolezza verso la giustizia sociale e i diritti civili.

Pur rifiutando per sé l’etichetta semplicistica di “poeta civile”, Akbar esplora con grande acutezza e sensibilità temi quali la dipendenza, la ricerca della spiritualità e dell’identità in un contesto corrotto e autoritario, e la sua poesia appare un raffinato veicolo di denuncia e impegno civile. Le sue parole sono strumento di resistenza culturale e spirituale, la sperimentazione linguistica il mezzo per promuovere e difendere l’utopia di un dolore fraternamente condiviso.

La raccolta Pilgrim Bell si interroga in particolare su cosa significhi essere credenti in un mondo segnato da crisi e incertezze. Molte delle poesie esprimono il rapporto contrastato tra la fallibilità umana e la presenza ineludibile del sacro. Riflettono le sfide dell’identità culturale, con una forte enfasi sulle esperienze di migrante e le tensioni legate al concetto di appartenenza. Troviamo un continuo interrogarsi sulle complessità delle relazioni umane, sul peso dei doveri e dei poteri, e un’analisi approfondita della vita sociale in questo delicato momento storico.

Poesia visiva, quella di Kaveh Akbar, con versi lacerati e laceranti – anche dal punto di vista della disposizione grafica, e per l’uso affilato del doppio registro linguistico – dove la dimensione personale e famigliare deflagrano in un orizzonte immaginifico; un planetario, dove grazie all’impulso armonico della poesia, parabole e circuiti di mondi diversi, forze e corpi, materia ed energia trascendente, riescono a ricomporsi in un cielo.

M.L. e A.S.

Le poesie qui proposte sono tratte dalla raccolta poetica Pilgrim Bell (2021), appena pubblicata in italiano: Il miracolo (Il Saggiatore, 2025)

***

L’accento di mio padre

Un bambino, più carino di me, che mi amava per
il mio vocabolario e le mie pillole arancioni, una volta mi chiese
di tradurre l’inglese di mio padre.

*

Anche questa poesia vuole che io traduca.
Poesia idiota, mani idiote per scriverla:

un accento non è suono.
Solo coloro a cui sembra alieno
ridurrebbero un accento a suono.

*

La mia poesia è cresciuta quassù, seduto su questa sedia americana
guardando fuori questa neve americana senza vita.

Erba nera che muore fuori da questa neve,
attraverso le lunghe orme

di un coniglio, come un fantasma
che siede eretto
e dice oh.

*

Ma è un’altra bugia.

Nessuna orma.
Solo erba nera, neve blu.
Non posso scriverlo
senza cercare di renderlo
bello. Sottomissione, resistenza, resa.

*

Al suo primo
ispezionare Adamo, il diavolo gli entrò nelle labbra.

Guarda: il diavolo entra nelle labbra di Adamo,
striscia per la gola, l’intestino
per emergere alla fine fuori dall’ano.

È tutto vuoto! ridacchia il diavolo.
Sa che il suo lavoro sarà facile, un umano semplicemente
una lunga disperazione da riempire.

*

La maglietta bianca di mio padre che sbuca fuori
dal colletto. La mano di mio padre che affetta pelle, cartilagini
di una carcassa di pollo che tengo ferma sul tagliere.

A volte si morde il labbro inferiore per soffocare
ciò che deve essere
rabbia. Deve essere rabbia

perché non fa rumore. Il mio vasto
terrore per ciò che non posso sentire,

per la mia ignoranza, non è traducibile.
Mio padre parla in perfetto inglese.

***

Ultrasuono

mio padre lega del filo
spinato intorno al giardino
ora quasi del tutto distrutto
da scoiattoli cervi e peggio
ancora conigli con semi
di cetriolo attaccati alla
coda sono un superpredatore mio padre è
un superpredatore Dio ci fa
poi ci accoppia mia madre cerca quadrifogli

*

nel prato e li appunta
in un quaderno mia madre che appunta
momenti del tempo dà a ognuno
un nome Buck Arriva nel Portico e
Nota dall’Ospedale da parte di Kaveh mentre
dentro fa il tè io cerco
un accendino in casa e non trovo
nemmeno i fiammiferi mia madre si libra in
cucina come una strana canzone

*

nella canzone mia madre ha finito
lo zafferano e non ha soldi
per comprarne altro piange sul
riso sbiancato alla candeggina finché
mio padre non entra rompe un uovo
sul piatto scoppia
il tuorlo lui dice vedi dice giallo mia madre
sorride così grossa e triste che si aggrotta nel
futuro dove

*

i miei occhi
sono di nuovo gialli, forse per il tuorlo
forse per altro il mio pelo diventa
così folto che mia madre a vederlo
strillerebbe d’orgoglio quando era
incinta scalciavo tanto forte
e spesso che a stento riusciva
a dormire in piedi tutta
la notte pensava devo
essere piena di coniglietti

***

Come dire la cosa impossibile

In modo chiaro. I denti dell’uomo così bianchi
da sembrare falsi. La mia pipì
ancora indurita sul tappeto di Bernadette.
Dire in modo chiaro
che non ho fiducia in me stesso?
E che non ne avrò mai?
Quando dico “me stesso”
voglio dire: l’ovvietà
rovina le cose – il fuoco,
la vodka, la morfina, il sapone.
Le Tue mani il tuo cielo il tuo calice

Kaveh Akbar (Teheran, 1989), poeta e romanziere iraniano-statunitense, è direttore del corso di Scrittura creativa dell’Università dell’Iowa e responsabile delle pagine di poesia della rivista The Nation. Ha pubblicato la raccolta di poesie Calling a Wolf a Wolf (2017) e il romanzo Martire! (2024), e ha curato la raccolta The Penguin Book of Spiritual Verse (2023). Le sue poesie sono apparse su diverse testate, tra cui The New Yorker, The New York Times, The Paris Review e The Best American Poetry.

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