Anche questa volta voglio parlarvi di quattro titoli molto diversi per genere e intenzioni. Iniziamo con l’italiano L’Abbaglio, commedia garibaldina di Roberto Andò che richiama insieme l’oramai trio di successo Toni Servillo, Ficarra e Picone. Sullo Sbarco dei Mille non è molto nota la vicenda dell’alto ufficiale Orsini, un uomo che avendo combattuto in battaglia in diversi paesi e sempre per liberare il popolo dagli oppressori, era stato scelto da Garibaldi in persona (un Tommaso Ragno in perfetta mimesi) per una missione d’inferiorità numerica da giocare tutta sull’astuzia. Andò si avvale degli sceneggiatori Ugo Chiti e Massimo Gaudioso per inventare intorno a lui un paio di siciliani guasconi. Uno baro di professione, Salvatore Picone, e l’altro, Valentino Ficarra, romantico e speranzoso claudicante. In comune una codardia comica che li porterà a disertare dai Mille per iniziare un’epopea di fughe da suore gaudenti e generali francesi, colpi di fortuna, capovolgimenti di fronte, ma soprattutto l’incontro con la loro immensa spalla Servillo.
“Anche gli impostori (e i vigliacchi) possono essere utili”. Dirà il suo Orsini al giovane assistente interpretato da Leonardo Maltese (attore fenomeno de Il signore delle formiche, Il giovane Leopardi e Rapito). L’arroganza mafiosa sbatterà sugli occhi idealisti di questo personaggio rivelandone coraggio, dolcezza e pietas. E se l’Orsini di Servillo viene inquadrato un paio di volte di spalle mentre scruta l’orizzonte da una cima come Il viandante sul mare, dipinto ottocentesco di David Friedrich, il certosino lavoro sulla sua parte ci mostra sguardo e princìpi da Che Guevara e modi quasi da gattopardiano Principe Fabrizio. Una commedia a sfondo storico con tante sfaccettature anche drammatiche e stupefacenti effetti visivi L’abbaglio. Chissà se al box office eguaglierà La stranezza, sempre di Andò. E chissà se per completare una supponibile trilogia a tre con i suoi attori, la prossima volta il regista non prenderà di mira un classico letterario? Magari I Promessi Sposi. Sarebbe un altro bel viaggio.
Oh Canada non si riferisce alle attuali ambizioni colonialiste di Trump, ma è la nuova opera di Paul Schrader, dove un grande documentarista alla fine della sua vita per un tumore si presta a un documentario proprio su di sé. Inizia un difficile viaggio nella memoria sconnessa dalle chemio di un intellettuale che ha vissuto, creato immagini e tradito. Cast imponente con Richard Gere, Uma Thurman e Jacob Elordi in una girandola di ricordi e rivelazioni. Ma il pastiche non colpisce a fondo come potrebbe. Chissà se complice il ricordo ancora vivido del similare The father, con quell’altro asso di Anthony Hopkins.
È invece 7° in 4 giorni di sala Itaca – Il ritorno, primo film mitologico di Uberto Pasolini, autore finora legato a realtà del presente. Non vi sono infatti mostri e dei del più epico dei viaggi, ma il ritorno di un vecchio re alla sua terra offesa dai proci, mentre Penelope, Juliette Binoche, fa e disfa la sua tela, e il figlio Telemaco, Charlie Plummer, lotta con le proprie insicurezze per diventare uomo. Il lavoro fisico di Ralph Fiennes per questo Odisseo è impressionante. Un corpo, il suo, segnato e trasformato da vent’anni di guerre e naufragi lo rende un fascio di nervi e muscoli, un infallibile soldato perfetto che riprende in mano il suo regno con astuzia, forza e dolore, quindi anche una riflessione sull’occupazione di una terra straniera, sull’aggressività ambigua e tragica dell’invasore.
La regia si pone a metà strada tra iconografie alla Zeffirelli e truculenza dei corpo a corpo alla Mel Gibson. Pasolini sintetizza questi due mondi attraverso una profonda umanità dei personaggi, che in fin dai conti sognano l’antico letto e l’antica dimora famigliare che li hanno uniti in passato.
Sull’invasione straniera ci spostiamo a un’attualità ancor più dolente. Basel è un giovane attivista palestinese che lotta per restare nel suo villaggio Masafer Yatta, impietosamente raso al suolo giorno dopo giorno dai soldati israeliani. Una prepotenza che avevamo studiato tra le righe dei libri di storia, intravista nei telegiornali, ma dalla videocamera di questo documentario assume un aspetto di quotidianità violate e ingiustizie inflitte a donne e bambini sfrattati dalle loro esistenze. La pace stridente di quei territori, assume in No other land i connotati dell’amicizia forte tra l’attivista e Yuval, giornalista israeliano che non assiste attonito ma prende posizione, partecipa in difesa degli oppressi, parla arabo, contrasta i militari del suo stesso paese. E solo documentando rischia grosso, mantenendo una complicità magica e tragica con i palestinesi.
“Tu a casa ci tornerai di sicuro”, dice Basel all’amico israieliano in un momento di scoramento. L’inutile laurea e nessuna speranza impolverano una storia di potere che schiaccia. Pace e amicizia tra i due ragazzi vengono contrastate dalla guerra in corso, la prova del nove di questo potere ce la offre una visita di Tony Blair, che con una sua semplice parola impedirà l’abbattimento delle sole casupole da lui visitate. Ruspa e ulivo in una sola inquadratura. “La lotta più dura è quella per restare nella propria terra”, si diranno i due ragazzi. No other land, prodotto da Palestina e Norvegia, è candidato all’Oscar per il Miglior documentario. #PEACE