Nella (bella) serie Curfew su Paramount+ qualcosa non funziona

Curfew (Coprifuoco) è una miniserie disponibile su Paramount+, dal 20 gennaio, che mette in scena, un mondo distopico dove gli uomini sono privati della libertà per contrastare il femminicidio. Ambientato in Gran Bretagna ai nostri giorni, è tratto dal romanzo After Dark di Jayne Cowie. Negli otto episodi viene criticato, con una certa efficacia, il ricorso a facili soluzioni come il controllo e la repressione per sconfiggere problemi sociali e culturali; viene messa in discussione anche l’ossessione per la sicurezza che permea il nostro tempo e la strumentalizzazione che ne viene fatta nelle agende dei partiti politici. In fondo, la serie Curfew avrebbe potuto affrontare, con lo stesso sguardo critico, la paura del fenomeno dell’immigrazione. Ma andiamo oltre.
Nella prima scena, giovani donne attraversano gioiosamente le strade, sbeffeggiando uomini che le guardano dalle finestre. Segretati tra le quattro mura domestiche dalle 19 alle 7 del mattino, indossano cavigliere che ne controllano gli spostamenti. La sicurezza delle donne nelle relazioni di intimità, invece, viene monitorata da terapeuti che testano il sessismo e la potenziale pericolosità del partner maschile. Esilarante la parte in cui un terapeuta boccia una convivenza perché al promesso sposo non piace cuocere piselli. Tutto bene? No! L’abuso di potere è dietro l’angolo e qualcosa va storto. Una sociologa del Centro di tutela, viene assassinata a colpi di pietra proprio davanti all’edificio in cui lavora. La detective Pamela Greens, colpita dal lutto terribile del femminicidio della figlia adolescente, non ha dubbi ad attribuire ad una mano maschile il crimine: “Una rabbia così la può avere solamente un uomo”. Le cose si complicano quando entrano in gioco interessi politici. La legge sul coprifuoco sta per essere ridiscussa alla Camera e un femminicidio sarebbe la prova che il sistema di tutela non funziona.
Tutto si svolge in un contesto sociale (che amaramente rappresenta la realtà) dove un gruppo clandestino denominato Maschio Alfa, attraverso i social e il web, invia messaggi misogini ai giovani uomini alimentando l’odio per le donne. Dopo un valzer di sospetti, doppie vite tenute segrete, ambivalenze di attiviste che di giorno denunciano l’oggettivazione delle donne e di notte diventano la fantasia erotica degli uomini segregati in casa, l’epilogo finale è scontato e decisamente sopra le righe.
La serie è una bella idea che non è stata sviluppata come avrebbe potuto essere. L’incipit prometteva bene. Gli uomini rinchiusi nelle case e affacciati alle finestre, possono rievocare le immagini di certi quartieri a luci rosse dove ad essere in vetrina sono le donne. Ma qualcosa non funziona, a mio parere, nell’interessante escamotage del rovesciamento delle parti. La visione dei Racconti dell’ancella, tratta dalla distopia di Margaret Atwood suscita un profondo senso di angoscia ma non accade altrettanto in Curfew. E’ probabile, peraltro, che la narrazione sul dominio maschile faciliti emozioni perché in molti Paesi si tratta di una quotidianità. In Afghanistan, in Iran, negli Emirati Arabi, in Arabia Saudita, le donne sono controllate e segregate in nome di Dio (quel Dio nominato sempre più spesso da politici sia in Italia che negli Usa).
Nel civilissimo mondo occidentale ci siamo lasciate alle spalle solo da qualche generazione, leggi che normalizzavano la violenza e le discriminazioni. Ma senza andare indietro nel tempo, in alcuni Stati Americani dopo il rovesciamento della sentenza Roe contro Wade da parte della Corte Suprema, le proposte di legge contro la libertà delle donne si fanno sempre più minacciosi. In Texas per contrastare il pendolarismo verso Stati dove è permesso l’aborto, è al vaglio una legge per controllare gli spostamenti delle donne, mentre viene premiata la delazione contro chi abbia procurato aborti. La distopia per le donne, o è una realtà o resta, anche nel mondo occidentale, una strisciante minaccia: quella di chiudere il cielo sopra le loro teste. Spicchio dopo spicchio.
Curfew punta il dito contro un certo attivismo femminista che si perde nel perseguimento di salvare le donne ad ogni costo, “anche da se stesse”, come per esempio, pretende di fare una anziana attivista. Peccato che la serie non approfondisca l’aspetto psicologico degli uomini limitati nelle loro libertà e mette in evidenza solo una generica rabbia (da questo punto di vista è stato molto più efficace Non sono un uomo facile, 2018).
Non basta a suscitare un senso di angoscia nelle spettatrici o negli spettatori, la morte di un innocente o la scena in cui, ad un uomo vengono imposti elettrodi che simulano i dolori mestruali. Ed è un peccato perché l’escamotage del rovesciamento dei rapporti di potere e dominio, sarebbe stato molto efficace per far comprendere la paura delle donne che vivono reali distopie o avvertono la minaccia di finirci dentro. Anche oggi, in Occidente, e sempre in nome di Dio.
@nadiesdaa