È bastata la messa in onda (finalmente!) dei primi due episodi della serie M il figlio del secolo per mostrare la banalità e la pretestuosità della gazzarra scatenata preventivamente dai vari Cruciani, Sechi e compagnia cantante. Tutti quei discorsi senza capo né coda a seguito di una dichiarazione di Marinelli (che tra l’altro ha proposto una riflessione interessante sul lavoro dell’attore), tutte quelle sparate sull’ambiguità dell’antifascismo lasciano il tempo che trovano nel momento in cui si viene travolti dalle immagini della fiction.

Quello che colpisce prima di tutto è la novità, la sua modernità linguistica. Questo Mussolini di Wright e Marinelli non ha nulla a che vedere con le rappresentazioni del Duce realizzate in passato per il cinema o la televisione da registi come Vancini, Lizzani, Negrin o Capitani e da bravi attori come Franco Nero, Claude Brasseur, Rod Steiger. Qui non c’è nessuna ricerca naturalistica della verosimiglianza. Siamo in territorio opposto. C’è un richiamo molto evidente all’espressionismo tedesco nel taglio delle inquadrature, nell’uso della luce e delle ombre e c’è un costante, aggressivo ricorso alla tecnica dello straniamento brechtiano con gli attori che guardano in macchina e interpellano lo spettatore. C’è un po’ di Kubrick nella rappresentazione della violenza, un po’ di Ejsenstein qua e là e di Bertolucci: Il conformista nella ricostruzione degli ambienti signorili, Novecento nei cortei socialisti. La modernità di questo M affonda le radici nella grande storia del cinema.

Poi, pur sorpresi da tanta originalità delle immagini, non si può sfuggire alla lettura politica. E qui il giudizio è durissimo, senza alcuna remora. M è soprattutto un egocentrico. Il suo odio per il socialismo di cui è stato esponente nasce da un fatto personale, il contrasto sull’interventismo. Privo di ogni moralità e di ogni sentimento nei rapporti umani, famigliari e sessuali, è ossessionato dal confronto con D’Annunzio che invidia, combatte, asseconda, imita in base alle convenienze; è una bestia, come dice di sé stesso, che sente il tempo, un abilissimo opportunista. La scena fondamentale per la definizione della sua politica è quella che segue la delusione per la vittoria elettorale dei socialisti: dopo averli attaccati con furore perché promettono di aiutare i diseredati illudendoli con una rivoluzione che non faranno mai, di fronte alla pioggia (letterale) di denari offerti dai padroni si propone come restauratore dell’ordine, usando la più cupa violenza contro gli scioperi e le occupazioni del biennio rosso. Come abbia potuto un tale personaggio essere amato per vent’anni dal popolo italiano, prima di essere odiato – come egli stesso recita nell’introduzione – ce lo spiegheranno le prossime puntate.

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