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No al bavaglio: questo governo pretende che l’opinione pubblica non venga informata

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Dopo lo tsunami Cartabia, che ha colpito la giustizia italiana facendo danni irreparabili, m’aspettavo la quiete. E invece no. Un altro maremoto continua a infierire danni ancor più funesti sulla giustizia di questo Paese. Era doveroso riparare i danni della Cartabia, ma si è preferito mettere al timone un pseudo esperto marinaio, che veleggiando sul mare tempestoso della giustizia, ci sta conducendo nel porto dove gozzovigliano colletti bianchi, poteri forti e borghesie mafiose. Permettetemi di parafrasare il titolo di un noto film e un detto napoletano, che calza a meraviglia sul momento storico che sta attraversando il nostro Paese: Pensavo fosse amore e invece era Amarone della Valpolicella. Ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale.

Detto questo, l’esimio signor Nordio ci propina giornalmente novità fantastiche, che certamente ripareranno i danni della Cartabia. Vorrei aggiungere una parolina completa, ma siccome ci potrebbero essere minori e gentili donne che leggono, mi astengo. Tuttavia, da buon siciliano posto solo le iniziali : sta min….a!” L’ultima novità, dopo la strenna natalizia delle restrizioni sulle intercettazioni, il cui primario scopo è “ammucciare” (nascondere) le malefatte di politici disonesti, amministratori pubblici disonesti, e del variopinto mondo di colletti bianchi e intrallazzatori seriali, ecco il bavaglio contro i giornalisti.

Ad onor del vero, devo spezzare una lancia a favore della presidente Meloni. Sono convinto che, se non si fosse impegnata col Cpr in Albania, avrebbe usato i fondi del Pnrr per costruire sul suolo italico una fabbrica di zerbini da regalare a quei giornalisti che ancora oggi con la schiena dritta si rifiutano di indossarlo.

Mi sono incuriosito della professione del giornalista – mi onoro di condividere l’amicizia con tanti di loro – e ho fatto una ricerca in rete. Ebbene, con mio sommo gaudio ho scoperto leggendo un art. di Matteo Mercuri su Spazio Pubblico che il primo giornalista della storia fu tale Filippide. Si narra che, intorno alla fine del VI secolo a C., Atene era preoccupata per un’invasione dei persiani e quindi per prevenirla e chiedere appoggio a Sparta, spedì un uomo capace di percorrere velocemente la notevole distanza. Filppide passò alla storia per una corsa che fece dopo la battaglia di Maratona. Nonostante avesse addosso la pesante armatura, raggiunse Atene per dare la notizia “Abbiamo vinto”.

La leggenda narra che Filippide dopo aver dato la notizia, si accasciò a terra e mori per lo sforzo compiuto. Oggi, alla soglia del 2025 siamo qui a cantare il de profundis dell’antica professione del giornalismo italiano. Il provvedimento del governo, inteso come “bavaglio”, mi riporta negli anni della mia infanzia, allorquando mi dicevano “un taliari, un parrari e un sintiri”. In buona sostanza, questo governo pretende che l’opinione pubblica non venga informata sulle malefatte che compiono personaggi in narrativa. Il popolo non deve addunàrsi (accorgersi) su quel che accade. In buona sostanza, il bavaglio sarà come un’impunità mediatica.

La realtà è che Filippide morì per portare una notizia, mentre il giornalismo italiano morirà per l’impossibilità di dar notizie. Presidentessa Meloni rifletta!

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