Una guerra tra poveri, che si può risolvere solo impoverendo ulteriormente una delle parti in causa. Oppure con un intervento del governo. È la disputa che in tutta Italia contrappone i Comuni ai gestori degli alloggi per le fasce più deboli. Dopo la raffica dei tagli, infatti, i sindaci reclamano l’incasso dell’Imu sulle case popolari. Accade da un decennio, ma la sforbiciata dell’ultima Manovra, con i ritardi infiniti dei pagamenti per i lavori del Pnrr, hanno lasciato i comuni ancor più in braghe di tela, con i soldi della tassa come ultima spiaggia. I primi cittadini, dunque, battono cassa, ma con scarsi risultati. Le società che gestiscono le case popolari, infatti, sono ovunque in rosso: sia perché i canoni di locazione sono minimi, ma anche perché in alcuni casi gli inquilini non pagano l’affitto. Qualsiasi soluzione, dunque, andrebbe a gravare sui cittadini più deboli che rischiano lo sfratto o l’aumento dei canoni di locazione. Una situazione diffusa in tutto il Paese: solo per il 2023, l’Imu richiesta dei sindaci ammonta almeno a 90 milioni di euro.

Il caso Frosinone: la guerra legale contro l’Ater – Le giunte locali reclamano la gabella in tutta Italia ma è nel Lazio, in provincia di Frosinone, va peggio: tutti i 91 comuni del “distretto” (tranne quelli senza case popolari) hanno fatto causa all’Ater (l’Azienda territoriale dell’edilizia residenziale) per riscuotere gli arretrati dell’Imu. Una guerra sulla pelle dei cittadini: se l’Ater non paga, i comuni avranno ancor meno risorse; se l’Ater paga, rischia il fallimento e l’antidoto potrebbe essere il rincaro degli affitti. L’ente delle case popolari vanta 44 milioni di euro non riscossi, perché molti non pagano l’affitto: per recuperare il credito, propone di affidare la riscossione all’agenzia delle Entrate, trasformando in debitori dello Stato gli inquilini delle fasce deboli. Se perdesse le cause intentate dai comuni, l’Ater di Frosinone dovrebbe sborsare almeno 7 milioni di Imu arretrata. Il Commissario straordinario Antonello Iannarilli (Fratelli d’Italia) non ci pensa neppure: “È una pazzia, tutti sanno che non abbiamo i soldi, come facciamo a pagare?”.

Cassino, in Bilancio manca mezzo milione l’anno di Imu – “Sì, ma noi quel denaro potremmo investirlo nelle scuole, gli asili, la cura del verde pubblico, la manutenzione stradale, l’illuminazione pubblica”, elenca Enzo Salera (Pd), sindaco di Cassino, paese del frusinate da 36 mila abitanti. Il comune è in lotta con l’Ater dal 2017, quando fu protocollato il primo avviso di accertamento per l’Imu del 2012: 413.156 euro. Da quel momento, ogni 365 giorni parte la missiva degli arretrati: circa 500 mila euro l’anno. L’ente delle case popolari non ha mai pagato e risponde a colpi di ricorsi. Eppure le sentenze della Commissione regionale tributaria hanno sempre dato ragione al Comune. Per l’Imu dal 2012 al 2014, sono giunti i verdetti di secondo grado nel 2023. In un triennio, gli arretrati valgono circa 1 milione e mezzo, per Cassino. “Potremmo migliorare tutti i servizi e assumere personale per la pubblica amministrazione”, si rammarica Salera.

Pignorare? Il timore della vendetta e il danno agli inquilini – Quel denaro, invece, diventa un numero nella casella di bilancio nominata “crediti di dubbia esigibilità”. Serve ad evitare la copertura dei provvedimenti comunali con entrate incerte: le somme non si possono spendere e dopo circa 10 anni, se non vengono incassate, occorre cancellarle. Già dopo la prima sentenza favorevole il comune può riscuotere il credito. Ma i sindaci evitano la richiesta di pignoramento, anche per non inasprire il clima con la Regione (e schivare possibili vendette). Del resto, dice Salera, “pignorare le case popolari non giova certo agli inquilini“.

Lo spettro dello sfratto e dei rincari per i poveri – Intanto, l’Ater di Frosinone invoca l’intervento della politica minacciando il pugno duro. “Se i magistrati ci obbligano a pagare l’Imu siamo nei guai, non vogliamo arrivare a tanto ma dopo 3 mesi di morosità si può sfrattare”, ammonisce al Fatto.it il commissario Iannarilli. Che incalza la Regione Lazio verso una legge per aumentare il canone d’affitto: “Gli inquilini di fascia A pagano 7,75 euro al mese, noi ne spendiamo 60 per registrare il contratto”. Alla Pisana, il fascicolo è in mano all’assessore Pasquale Ciacciarelli (Lega) e alla consigliera Laura Corrotti (Fratelli d’Italia). Iannarilli propone un canone tra i 30 e 40 euro al mese. Il rincaro colpirebbe i pensionati con l’assegno minimo, gli inabili al lavoro, famiglie con tutti i componenti disoccupati. Anche secondo Federcasa (l’associazione delle Aziende territoriali per le case popolari) l’andazzo deve cambiare: “Chi non paga un servizio o un’utenza, andrebbe perseguito e dovrebbero essere attivati gli ammortizzatori sociali, perché anche la morosità mette in crisi i bilanci delle nostre Aziende”, dice il presidente Marco Buttieri.

Contenziosi in tutta Italia: 90 milioni di Imu solo nel 2023 – Mentre la Regione Lazio lavora all’ipotesi di alzare l’affitto delle case popolari per le fasce deboli, Iannarilli invoca un provvedimento nazionale per sancire il principio una volta per tutte: sulle case popolari non si paga l’Imu. “Perché tutte le Ater hanno debiti e ovunque i comuni chiedono gli arretrati”, ammonisce il Commissario. Citando il debito monster dell’Ater di Roma: 170 milioni per gli arretrati Imu e Tasi del 2016, 2017 e 2018. E nel resto d’Italia? Solo per il 2023, l’Imu richiesta dei sindaci ammonta almeno a 90 milioni. In ogni Regione ci sono guerre legali. Tranne quando gli immobili sono di proprietà comunale e l’ente delle case popolari si limita a gestirle: accade in Toscana ed Emilia Romagna; ma anche Metropolitana Milanese (nel capoluogo lombardo) e il Cit a Torino amministrano alloggi comunali, al riparo da beghe legali.

La legge ambigua, la trattativa con l’Anci – La battaglia legale si gioca sul filo del dizionario: l’esenzione Imu è prevista solo per i cosiddetti “alloggi sociali”. Di costa si tratta? Lo stabilisce il decreto del Ministro delle infrastrutture del 22 aprile 2008, ma in modo fumoso dando la stura alle controversie. Per essere “sociale”, una casa dovrebbe essere concessa in affitto per almeno 8 anni. Per gli altri alloggi delle aziende di edilizia popolare, invece, resterebbe una detrazione da 200 euro. L’Anci ne è convinta al pari dei sindaci. Ma Federcasa e gli Ater locali sono certi del contrario: l’esenzione Imu tocca tutte le case popolari. Intanto annotano le sentenze favorevoli. Poche per la verità: con la pronuncia n. 6380 del 2024, la Cassazione ha dato ragione all’Ater di Chieti. Ma i verdetti di segno opposto sono numerosi. Dunque serve un intervento dello Stato. Una legge per abolire l’Imu sulle case popolari sarebbe sgradita al Mef: le entrate dei comuni si possono cancellare, ma al prezzo di trovare nuovi fondi per i sindaci. Ipotesi ardua, mentre il governo raschia il fondo a caccia di coperture per la Manovra. Dunque Federcasa propone un accordo con l’Associazione dei comuni. “Per chiarire, una volta per tutte, quale sia la vera natura dei nostri alloggi”, dice il presidente Marco Buttieri. Certo, “i comuni dovranno essere compensati. Abbiamo alcune proposte e attendevamo l’elezione del nuovo Presidente Anci per avviare un tavolo di discussione”. Buona trattativa.

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