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La scienza razzista è relativamente recente: un concetto utile ai nazionalismi

La scienza razzista è relativamente recente: un concetto utile ai nazionalismi
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I primi tentativi sistematici di classificare razze umane sono relativamente recenti: alla metà del XVIII secolo Linneo fu tra i primi a proporre una suddivisione della specie umana in quattro razze, ciascuna caratteristica di un continente (l’Antartide essendo disabitata). Una tra le caratteristiche salienti della classificazione di Linneo era il colore della pelle: bianco per gli europei, nero per gli africani, giallo per gli asiatici e rosso per i nativi americani. In precedenza, ed in particolare in epoca classica, il concetto di razza si confondeva con quello di gruppo linguistico, religioso o geografico.

I greci e i romani, come anche gli arabi, conoscevano molti popoli diversi ma il concetto di razza gli era estraneo. Io credo che ci sia una profonda ragione per questa circostanza storica: gli antichi viaggiavano a piedi; anche quando si spostavano per mare praticavano una lenta navigazione costiera, con frequenti soste a terra per il rifornimento: viaggiando in questo modo vedevano cambiamenti graduali delle caratteristiche fisiche e fisionomiche dei popoli che incontravano, determinati dai gradienti delle frequenze geniche. La navigazione oceanica, iniziata nel XV secolo, cambiò drasticamente questa prospettiva: l’esploratore poteva sbarcare in un porto lontanissimo da quello di partenza, senza alcuna tappa intermedia e incontrare popolazioni diverse dalla propria senza incontrare gruppi con caratteristiche intermedie.

Le iniziali classificazioni di Linneo e Blumenbach erano ingenue e basate su criteri antropometrici grossolani, molti dei quali solo in parte determinati geneticamente e comunque spesso poligenici, quindi difficili da interpretare. Queste classificazioni non configuravano vere teorie razziali: le teorie vennero un secolo dopo coi trattati di De Gobineau, Knox e Grant. Le teorie ottocentesche ipotizzavano che le razze umane fossero eterne e sempre esistite, eventualmente per atti di creazione distinti, e che la complessità dei gruppi umani dipendesse dalle loro mescolanze. Questa idea era assurda dal punto di vista evoluzionistico, perché presumeva che la specie umana derivasse dalla confluenza di gruppi diversi, che avevano raggiunto l’interfecondità successivamente, ed era infatti avversata da Darwin.

E’ ovvio oggi, dalla genetica e dallo studio dei fossili degli ominidi, che l’origine dell’uomo (come di ogni altro animale) è monofiletica e che il differenziamento in gruppi diversi è successivo all’origine e dovuto a mutazioni geniche che avvengono in gruppi troppo distanti geograficamente o culturalmente per contrarre matrimoni misti.

Erano conseguenze dell’errata ipotesi dell’origine polifiletica il concetto di “purezza razziale” e l’orrore per il meticciato che, contaminando le razze, rimescolava l’ordine della creazione. Rileggere oggi i trattati di De Gobineau o di Chamberlain (due tra gli autori preferiti di Hitler) ci trasporta in un mondo di sconcertante ingenuità: davvero questi autori non sapevano nulla e non avevano capito nulla, non solo della genetica moderna, di molto successiva, ma neppure delle teorie evoluzionistiche darwiniane che erano invece coeve (per De Gobineau e Knox) o precedenti (per Chamberlain).

Le teorie razziali di Gobineau e Knox si affermarono nell’Ottocento e nel primo Novecento non solo perché precedevano gli studi sui gruppi sanguigni di oltre settant’anni e la genetica molecolare di oltre un secolo, ma anche perché erano compatibili con molti aspetti della filosofia romantica o tardo-romantica allora in voga. I romantici coltivavano l’idea che il mondo fosse dominato da “forze” misteriose e che i membri dello stesso popolo fossero uniti tra loro e al paese che abitavano attraverso una corrispondenza di forze: il mito del “blut und boden” (sangue e suolo). In questo contesto la razza diventava un concetto estremamente cogente, adatto a giustificare i nascenti nazionalismi etnici, le guerre di conquista e il colonialismo.

Il razzismo tardo-romantico era fortemente antisemita: gli Ebrei erano visti come anomali e pericolosi perché popolo senza terra, sradicato dal suo naturale rapporto con un territorio. Se l’antisemitismo precedente era stato prevalentemente religioso, cosa che consentiva il recupero almeno parziale dell’Ebreo attraverso la conversione; e se la rivoluzione francese con la proclamazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino aveva reso possibile l’assimilazione senza conversione, il razzismo tardo-romantico escluse queste possibilità, portando alla tragedia della Shoah.

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