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Gli israeliani festeggiano il Jerusalem Day, i palestinesi ricordano l’occupazione. Per gli ebrei pacifisti è difficile stare nel mezzo

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Gli israeliani lo chiamano il ‘Giorno di Gerusalemme’, per i palestinesi è il giorno che, 57 anni fa, segnò irreversibilmente l’occupazione. Così, mentre a Gaza la guerra continua e rischia anche di allargarsi al Libano, nella Città Vecchia va in scena la ‘Marcia delle bandiere’, un corteo formato da migliaia di nazionalisti ebrei, molti giovanissimi, che partendo dalla Porta di Damasco irrompono nella parte araba di Gerusalemme per festeggiare la “vittoria” del 1967.

Il riferimento storico infatti, è la Guerra dei sei giorni, quando l’esercito israeliano occupò il Sinai egiziano, la Striscia di Gaza, Gerusalemme Est, la Cisgiordania e le alture del Golan siriano. Non è una ricorrenza di cui si parla, ma si tratta di un evento bellico che ha cambiato per sempre il rapporto tra israeliani e palestinesi, a favore dei primi.

Nonostante la marcia porti sempre con sé violenze, attacchi e vandalismo contro i palestinesi e le loro proprietà, è incoraggiata dal governo Netanyahu (il premier ha fatto sapere solo all’ultimo che non sarebbe stato presente), e soprattutto dal leader della destra radicale e ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. Già questa mattina centinaia di fedeli ebrei – incluso il ministro del governo, Yitzhak Wasserlauf (Potere ebraico) e il deputato Yitzhak Kreuzer (Potere ebraico) – sono saliti sulla Spianata delle Moschee, che gli ebrei chiamano Monte del Tempio, un atto che viene letto dai musulmani come profondamente offensivo e provocatorio. Eppure la moschea di Al-Aqsa è un sito islamico dove sono vietate visite, preghiere e riti non richieste da parte di non musulmani, secondo accordi internazionali in vigore da decenni.

Non tutti gli israeliani però sono d’accordo con questa manifestazione, anzi. Il gruppo no profit israeliano Ir Amin scrive sul proprio profilo Instagram: “Anche quest’anno, con una guerra terribile a Gaza, coloni ed estremisti entrano nel quartiere musulmano intonando maledizioni e slogan anti islamici – l’Associated press riporta dei cori “morte agli arabi” e “Maometto è morto” – violenze e minacce contro i residenti palestinesi e commercianti”. E ancora: “Questa non è una parata dell’amore di Gerusalemme, è una marcia nazionalista di estrema destra, che è diventata sempre più una dimostrazione ostile di supremazia ebraica, trionfalismo e incitamento all’odio contro i palestinesi”.

Nei video comparsi sui social, con i gilet viola, vediamo anche gli attivisti di Standing together. Il movimento ebraico-arabo pacifista ha schierato la propria ‘Guardia umanitaria’ a Gerusalemme per intervenire in caso di violenze. Sono gli stessi che nei giorni scorsi sono riusciti a mandare via i coloni dal posto di blocco di Tarkumiyeh. Per due settimane hanno fatto da ‘scudi umani’ ai camion di aiuti umanitari che dalla Cisgiordania andavano a Gaza. Il portavoce Alon Lee ha raccontato come la polizia (l’Ansa parla di 3mila poliziotti schierati per circa 20mila partecipanti) abbia permesso che i giovani estremisti bloccassero l’accesso ai palestinesi a Gerusalemme est, mentre gli attivisti stessi sono stati identificati e dispersi. Insomma, non è facile essere ebrei e pacifisti in Israele. Soprattutto nel giorno del Jerusalem Day.

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