Non c’è mai nulla di casuale nelle scelte di José Mourinho e l’intervista concessa a Sam Wallace del Daily Telegraph non sfugge alla regola. Sam è uno dei giornalisti più brillanti della stampa britannica. Ha lavorato a casi importanti e l’allenatore portoghese, tre mesi abbondanti dopo l’esonero incassato a Roma, si è messo a sua disposizione. L’intervista è stata pubblicata tre giorni dopo l’avvistamento di Mourinho nelle tribune del Craven Cottage, dove è stato sabato scorso testimone diretto del 3-1 dei Reds sul Fulham del connazionale Marco Silva.

Immediatamente, e forse inevitabilmente, il suo nome è stato accostato al Liverpool, alla ricerca di un allenatore dopo l’addio, a fine stagione, di Jurgen Klopp. Liverpool appare però una destinazione improbabile per Mou: per i suoi trascorsi al Manchester United e per le idee di calcio radicate nel mondo Reds. Nella testa di José è però ben chiara la preferenza per una soluzione inglese per tornare al lavoro. La Premier resta il campionato più seguito e più ricco del mondo, nonostante la bocciatura nelle coppe europee, con l’addio ai quarti di Champions del duo Manchester City-Arsenal e del West Ham in Europa League. E’ rimasto in corsa solo l’Aston Villa di Unai Emery, lo spagnolo che ha nel curriculum tre edizioni di Europa League dal 2014 al 2016 ed è fresco di conferma con la squadra di Birmingham fino al 2027.

Nell’intervista al Daily Telegraph, Mourinho ha voluto precisare due cose. La prima: il mio sogno è quello di fare a tempo pieno l’allenatore, l’head coach, senza disperdere energie in altri aspetti della vita di un club. E’ un chiaro riferimento alle due stagioni e mezzo romaniste, nelle quale il portoghese si è spesso dovuto occupare anche di “altro”, dal mercato alla comunicazione. Seconda precisazione: non è vero che m’interessano solo club vincenti. La cosa che conta è lavorare in squadre che siano in grado di lottare per vincere.

L’altro sogno, inespresso, ma intuibile per una serie di ragioni, è il ritorno al Chelsea. Nel suo articolo, Wallace ricorda che tra la casa londinese di Mourinho e lo stadio Stamford Bridge la distanza è minima. “Dalla sua dimora, si possono percepire le urla del popolo Blues”. Wallace colora il suo lavoro, perché, in realtà, tra la casa nel quartiere di Belgravia e l’impianto del Chelsea in Fulham Broadway bisogna percorrere quattro chilometri, ma il senso è chiaro.

Mou non vuole però tornare alla guida del Chelsea, in quella che sarebbe la terza avventura personale con il club londinese, per una questione di comodità. La verità è che il Chelsea, in questo momento, è la più praticabile delle soluzioni per tornare al lavoro. La stagione Blues di Mauricio Pochettino si è rivelata un fallimento: nono posto in Premier, ko in semifinale di FA Cup, ko nella finale di Coppa di Lega. Il bilancio di 44 gare è modesto: 21 successi, 10 pareggi e 13 sconfitte, nonostante una valutazione della rosa di 920,3 milioni e una campagna acquisti da 467,8 milioni, cifre che alla Roma, per dire, Mourinho poteva solo sognare.

José, nonostante le difficoltà e qualche incidente di percorso degli ultimi anni, vedi il Tottenham, resta un signore da 26 trofei. Nei grandi club, soprattutto quando si spendono valanghe di soldi, la cosa che conta è vincere. A chiudere il cerchio, il sostegno dei tifosi. Qualche settimana fa, il popolo dello Stamford Bridge ha intonato il nome di Mourinho. La saudade del vecchio condottiero, oggi sessantunenne e con qualche cicatrice in più, è più di una semplice nostalgia per i tifosi Blues. Palla ora al Todd Boehly, proprietario del Chelsea. Un altro americano lungo il cammino di Mourinho.

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