Sono abbastanza vecchio da aver scoperto i Nirvana quand’è che ancora ci si prestavano i cd e le cassette, così come ugualmente giovane da non aver avuto la fortuna di vederli dal vivo o, più in generale, godermeli nel mentre. E’ così che il 5 aprile di ogni anno rappresenta per me, come un po’ per tutti, non un giorno qualunque bensì un’occasione di tristezza ma anche di riflessione: sì perché se trent’anni fa Kurt Cobain non fosse caduto vittima, una volta per tutte, dei suoi demoni, di chi e cosa parleremmo oggi?

Sarebbe infatti bello saperlo ancora tra noi, magari avendo nel mentre annunciato più volte il proprio ritiro dalle scene come David Bowie fece dopo Ziggy Stardust e prima di Station To Station, oppure avendo nel mentre sfornato qualche altra pietra miliare. Anche se il dubbio, comune, è che dopo due album del calibro di “Nevermind” e “In Utero” sarebbe stato difficile per chiunque pensare di fare altrettanto bene: anche lontanamente. Nato ad Aberdeen il 20 febbraio 1967, e appassionatosi sin da giovane alla musica punk e hardcore – sonorità, queste, che caratterizzeranno lo stile unico proprio dei Nirvana – mosse i primi passi fondando nel 1985 i Fecal Matter dando vita un anno dopo, con l’amico di sempre Krist Novoselic, agli Skid Row divenuti quindi Pen Cap Chew, Bliss e, infine, Ted Ed Fred. Nel 1988 ingaggia Chad Channing formando la sua ultima creatura e pubblicando, nel 1989, l’album di debutto “Bleach”.

Caratterizzato da un sound grezzo quanto grintoso, ben lontano dal successo raggiunto con il successivo “Nevermind”, il disco fece spazio a Kurt Cobain e compagni nei circuiti underground locali consentendo loro di partire, lo stesso anno, anche alla volta dell’Europa. Ancora sconosciuti ai più, passati nel frattempo da Sub Pop Records a Geffen Records, i tre danno il via nel 1990 alle registrazioni del loro secondo lavoro in studio uscito il 24 settembre 1991 e trainato al successo dal singolo, apripista, “Smells Like Teen Spirit”: divenuto nel tempo un vero e proprio inno generazionale.

Sempre più in copertina anche per via della relazione tumultuosa iniziata con Courtney Love, e divenuto ad agosto dell’anno successivo padre, Kurt Cobain ha ormai raggiunto un livello di popolarità senza precedenti: cosa, questa, che giustificherà anche la pubblicazione, a dicembre, della compilation “Incesticide” comprendente registrazioni in parte inedite, tratte anche dalle sessioni dei primi due lavori. Nel settembre 1993 la band dà alle stampe “In Utero”: definito non a caso, dall’allora batterista Dave Grohl come una risposta, uno sfogo sonoro a “Nevermind”, e fortemente criticato per le scelte adottate in studio di registrazione dove il produttore Steve Albini cadde di fatto ostaggio del genio e della volubilità del biondo musicista, qualità entrambe ben evidenti guardando lo spettacolare MTV Unplugged registrato due mesi dopo.

Sopravvissuto a diversi episodi di overdose, cui seguirono periodi più o meno lunghi di riabilitazione, e dal vivo un’ultima volta il 1 marzo a Monaco di Baviera, in Germania, Kurt Cobain si spegne definitivamente appunto trent’anni fa, quando tre giorni prima del ritrovamento uno degli ultimi eroi contemporanei si toglieva la vita con un colpo di fucile, nella sua casa di Seattle, divenendo presto oggetto di speculazioni e dicerie che nulla aggiungono, ma neanche tolgono, alla grandezza della sua arte.

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