Una squadra senza né capo né coda. Fa quasi tenerezza vederli giocare, pensando alle varie fasi che hanno attraversato negli ultimi sei o sette anni. Nel 2018, in piena era Kenny Atkinson (coach), non erano certo destinati al titolo. Ma erano divertenti, freschi, spensierati, con un no so che di “cool”. D’Angelo Russell ci sguazzava talmente bene in quello “stagno”, che divenne addirittura un All-Star. C’era uno Spencer Dinwiddie che si era appena mostrato all’NBA per quello che era: una morbida point guard a proprio agio in un attacco run-and-gun, magnetico tutte le volte che giostrava con la palla in mano. Anche Joe Harris, al tempo quanto di meglio si potesse trovare dal perimetro nella lega. Il palazzetto era sempre stracolmo. Poi, di grazia, la rivoluzione. Grandi nomi. Kevin Durant, Kyrie Irving, James Harden, Ben Simmons. Pochi successi (complici anche gli infortuni). Il giocattolo si rompe. E il Barclays Center inizia lentamente a perdere energia, per non dire spettatori. Oggi i Nets, se li vedi in campo, sembrano una squadra da “io speriamo che me la cavo”. Non c’è un chiaro sistema di gioco. L’attacco è in mano a Cam Thomas, classico sparatutto senz’anima, che deve trovare ancora una conclusione che non gli piaccia. Tira tutto quello che gli passa per le mani. Di punti ne farà anche quasi 22 di media, ma giocare in ritmo è ben altra storia. Mikal Bridges è un buon giocatore, ma perde efficacia nella confusione. Simmons è di nuovo infortunato, probabilmente non ha più speranza (né voglia?) di una carriera ad alto livello. Dennis Smith Jr è un progetto già abortito al suo secondo anno a Dallas. Il resto? Più o meno comparse. Hanno vinto il 38% delle partite e sono undicesimi a Ovest. E stando così le cose, il futuro non è per nulla roseo.

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