di Luca Silvestri*

Si riaccende periodicamente l’attenzione mediatica, ad ogni proroga disposta dal Governo, sulla sospensione delle cosiddette “multe ai no-vax”, che tecnicamente sono delle sanzioni amministrative dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale da parte di soggetti ultracinquantenni che, in virtù della propria età anagrafica, si sono visti recapitare un avviso di addebito dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, indipendentemente dalle proprie condizioni di vita e dal reale o presunto rischio di contagio, eventualmente procurato ad altri.

Si conosce di meno, invece, l’esito giudiziale delle controversie che alcuni di tali soggetti, alcuni lavoratori in forza ad un’azienda e altri pensionati, hanno introdotto davanti ai Giudici di Pace di tutta Italia, perché fosse un giudizio vero e proprio ad accertare la correttezza delle proprie ragioni, e non la presenza o meno di fondi di bilancio utilizzabili per coprire il disavanzo generato dall’eventuale annullamento degli avvisi di addebito. Ebbene, in grandissima parte, la giurisprudenza consolidatasi sinora si è espressa nella direzione della nullità dei predetti avvisi, posta l’assurdità della procedura prevista dall’art.4 del D.L. 44/21, che fa strame di ogni principio del procedimento amministrativo conosciuto e disciplinato nel nostro ordinamento.

Il lavoratore e/o il pensionato in questione, infatti, è stato raggiunto da un atto di avvio del procedimento, emesso dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, in un momento costantemente precedente al termine di legge utile per vaccinarsi, sulla base di elenchi trasmessi dal Ministero della Salute. In base alla mancata risposta alla notifica di tale atto, già insensata posta la sua anticipata collocazione temporale, è pervenuto al destinatario un avviso di addebito, anch’esso anticipato rispetto al termine di legge, senza che vi sia stato un accertamento notificato nel periodo di tempo intercorrente.

Insomma, il Ministero inseriva negli elenchi di proscrizione e l’Agenzia sanzionava i proscritti, indipendentemente dai tempi e dalle garanzie di qualsiasi procedimento amministrativo, entrambi mediamente rispettati in quello relativo ad una banale contravvenzione stradale. Ma da Roma a Milano, passando per Perugia, Sondrio, Imola e via discorrendo, i Giudici di Pace, spesso letti come l’anello debole del sistema giustizia, hanno ribadito alcuni essenziali principi di diritto, quali il contraddittorio nel procedimento, la non sanzionabilità senza la notifica di un accertamento, l’impossibilità di una notifica durante una sospensione disposta dalla legge, laddove non si sono spinti ad affrontare il merito, superando la pregiudizialità di tali questioni, e disponendo la non sanzionabilità di un cittadino, lavoratore e/o pensionato, per una scelta sanitaria personale della quale non è stato accertato il rischio per alcuno.

Insomma, a volte dalla giustizia italiana arriva un soffio di speranza, che rende giustizia a chi la reclama, a dispetto dei luoghi comuni e di certa sconfortante prassi giudiziale. E ci fa pensare che forse anche a Berlino c’era un Giudice di Pace…

* Giuslavorista e penalista, socio fondatore dello Studio Legale Silvestri, nell’ultimo decennio ho difeso i lavoratori interessati dai licenziamenti collettivi e dalle interposizioni illecite di manodopera nelle aule delle Sezioni Lavoro e dei Tribunali Penali di tutta Italia

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