I russi sono chiamati con toni molto persuasivi a partecipare al rito dell’ “operazione elettorale speciale” da cui lo zar vorrebbe ottenere un’investitura trionfale per i prossimi sei anni: l’attivismo politico-criminale a cui il regime ci ha abituato sta seguendo il suo percorso collaudato e tragicamente ribadito con l’eliminazione di Navalny.

Sul fronte mediatico è ritornata in primo piano la minaccia nucleare, che è sempre uno strumento di esibizione di potenza e di invincibilità ad uso interno prima che di intimidazione nei confronti del nemico, non tramite il megafono Mevdeved, ma direttamente dalla bocca di Putin: “Se la sovranità e l’indipendenza russa vengono messe in pericolo noi siamo pronti a lanciare le bombe atomiche. La Russia dispone di armi nucleari ancora più avanzate di quelle degli Usa e siamo pronti tecnicamente e militarmente ad utilizzarle”. Contestualmente ha annunciato lo schieramento di truppe e mezzi militari lungo tutto il confine con la Finlandia che, insieme alla Svezia, è entrata ufficialmente nella Nato abbandonando la pluridecennale neutralità a seguito dell’invasione dell’Ucraina, un risultato alquanto sgradito al Cremlino e che solo due anni fa sembrava impensabile.

Così come l’aggressione di Putin e la perseveranza nell’offensiva di annientamento contro la resistenza e i civili ucraini, a più di due anni dall’inizio dell’ “operazione militare speciale”, hanno reso possibile il nuovo stanziamento europeo di 5 miliardi di euro per l’acquisto di armi da inviare al più presto all’Ucraina, in grandissima difficoltà per il blocco ricattatorio imposto da Trump allo stanziamento di 60 miliardi di aiuti statunitensi.

L’amplificazione della paura nelle opinioni pubbliche occidentali con lo spettro dell’atomica e l’inasprimento ossessivo nella repressione di qualsiasi espressione del dissenso, come è avvenuto nei confronti di chi ha messo un fiore sulla tomba di Navalny, vanno di pari passo con gli agguati truculenti e le morti “improvvise”. Alla vigilia dell’elezione – in assenza di candidati anti-guerra, puntualmente segati dal Cremlino – è stato trovato privo di vita nel suo ufficio di Mosca Vitaly Robertus 53enne vicepresidente di Lukoil, secondo produttore di petrolio russo che aveva preso posizione in modo molto netto contro l’invasione dell’Ucraina fin da marzo del 2022. Questa morte “improvvisa” che sembra dovuta ad asfissia è solo l’ultima di almeno quattro morti misteriose tra i vertici della società in meno di due anni.

Circa nelle stesse ore a Vilnius Leonid Volkov, collaboratore di Alexei Navalny, è stato aggredito da due sicari dei servizi segreti russi secondo l’accusa diretta del presidente lituano, confermata dall’intelligence di Vilnius che ha spiegato come il raid sia stato probabilmente organizzato ed eseguito da Mosca per impedire agli oppositori russi di guastare la festa elettorale a Putin. La vittima colpita con 15 martellate ha preferito per il momento non fare commenti ma ha precisato che “ovviamente si è trattato di uno sfacciato, tipico, caratteristico saluto da bandito di San Pietroburgo“.

Atteso e puntuale è arrivato il monito a votare come “atto di patriottismo” e per renderlo più concreto in molte città i seggi elettorali sono stati installati nei luoghi di lavoro sotto l’occhio vigile dei datori di lavoro.

La mobilitazione elettorale sotto la ferrea regia del potere riproduce lo schema della cosiddetta campagna elettorale che non c’è stata e si è ridotta a bagni di folla all’insegna dell’ esaltazione dell’orgoglio patriottico rigenerato dalle pittoresche e mirabolanti ricostruzioni storiche fondate sulla magnificenza del passato da ripristinare e contrapporre con ogni mezzo alla decadente protervia dell’Occidente.

La realtà non deve esistere, l’operazione militare speciale – ed in particolare il costo delle centinaia di migliaia di soldati sacrificati al fronte in nome della “denazificazione” – sono un’ombra pallidissima su uno sfondo remoto che non deve minimamente oscurare l’incoronazione di Putin per il quinto mandato, nel decennale dell’annessione della Crimea, un primato di longevità al potere che supera quello di Stalin.

Tanto più vengono totalmente ignorati i blitz dei volontari russi filo Kiev contro le raffinerie di Belgorod e Kursk mentre da Kiev si moltiplicano le denunce per gli atti illegali che stanno avvenendo nelle regioni occupate dove, come e peggio di quanto era avvenuto con i referendum farsa per l’annessione, la gente è costretta a votare sotto la minaccia dei mitra e privata del passaporto e dell’accesso alla sanità se non si reca alle urne.

Di molto concreto e reale c’è, contestuale all’appello al voto patriottico di Putin, l’intervento della Procura di Mosca contro la partecipazione a manifestazioni di protesta ai seggi il 17 marzo a mezzogiorno indetta dalla moglie di Navalny, e rilanciata dal letto di ospedale a Vilnius da Leonid Volkov, per votare qualsiasi nome che non sia Putin, annullare la scheda o scrivere Navalny. Se l’iniziativa avesse un seguito apprezzabile – anche se ovviamente non potrebbe scalfire l’incoronazione di Putin, in quanto anche il dato della partecipazione effettiva al voto non è verificabile e il superamento del 70% ci sarà comunque – avrebbe un importante significato simbolico come la folla che ha sfidato il regime per rendere l’ultimo saluto a Navalny e che ha continuato per giorni a recarsi sulla sua tomba.

E’ purtroppo evidente che nel contesto delineato le risorse dell’opposizione sono limitate e inadeguate per mettere in crisi il regime, ma sostenerle in nome di una pace giusta sarebbe preferibile ad auspicare o pretendere la resa dell’aggredito all’aggressore.

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