di Ilaria Agostini e Tiziano Cardosi

Non solo il cantiere Esselunga, con cinque operai morti. A Firenze, un altro importante cantiere accende il malcontento: lo scavo dei due tunnel Tav che interferiscono con i cantieri della tranvia e mettono in crisi la stabilità degli edifici soprastanti il passaggio della talpa. Il doppio tunnel, che da Campo di Marte confluisce nella faraonica stazione Foster permette di bypassare Santa Maria Novella. È un vecchio progetto, concepito oltre venticinque anni fa, sostenuto (non senza contraddizioni) da Regione Toscana, e dai sindaci Renzi e Nardella.

Le criticità dell’opera, denunciate da anni dal comitato No Tunnel Tav, sono state sottovalutate sia dai tecnici, sia dai politici: un’infrastruttura che, comunque vada, resta un incredibile errore urbanistico.

Da qualche mese i lavori sono partiti. E in città si sta profilando un’emergenza tunnel Tav. La stampa scrive di possibili interferenze tra il Tav e il tram che correrà in superficie sul medesimo tracciato del treno. Nel tratto Libertà-Lavagnini-Fortezza, il progetto di scavo prevede cedimenti in superficie di 50-60 mm, incompatibili con la sede tranviaria – oggi in costruzione – le cui rotaie non possono subire disallineamenti. Una tranvia malprogettata, concepita posteriormente al progetto dei tunnel, che ha ignorato gli effetti di tale compresenza. Ma non basta: anche la recente revisione del progetto Tav (2022) ne ha trascurato la compresenza.

L’emergenza, tuttavia, non si limita alle interferenze tra infrastrutture, poiché lo scavo del Tav sta provocando danni agli edifici sovrastanti. L’aggiornamento del progetto (2022) rivede le previsioni delle subsidenze, cioè i cedimenti degli edifici in superficie dovuti agli scavi: i danni coinvolgeranno centinaia di edifici, migliaia di unità immobiliari, migliaia di famiglie. La gente ha paura, depressione, ansia. La cronaca smentisce le dichiarazioni tranquillizzanti di Nardella, Giani e RFI: non è messa a rischio solo la proprietà, ma il diritto all’abitare.

Nei primi anni Duemila, i No Tunnel Tav hanno chiamato a raccolta esperti critici, ricercatori e docenti dell’Università di Firenze: un incontro fortunato da cui sono scaturiti piani e progetti alternativi di mobilità pubblica che partono dai bisogni sociali reali della popolazione. Non le consuete infrastrutture pesanti, figlie di interessi finanziari lontani dai territori. In particolare, è stato studiato un progetto di passaggio ferroviario in superficie i cui costi erano nettamente competitivi con il sottoattraversamento. Il preventivo di spesa, ad oggi, è di 2 miliardi e 735 milioni di euro, oltre il doppio delle previsioni iniziali. Eppure, non è solo una questione di costi: con il passaggio in superficie, minore sarebbe lo spreco di risorse, minori i danni in superficie, minori i rischi nel drenaggio sotterraneo.

La politica toscana ha ignorato qualsiasi alternativa al tunnel Tav. Un atteggiamento funzionale al sistema di accaparramento di denaro pubblico attraverso le Grandi Opere che è diretta conseguenza dello svuotamento di democrazia delle istituzioni e dei principali partiti. Ma anche dei meccanismi finanziari e contrattuali – dal general contractor al project financing – che garantiscono profitti sicuri eliminando rischi di impresa o di mercato. Costruire gallerie è un’attività capital intensive con basso uso di mano d’opera, dà altissimi profitti creando pochi posti di lavoro in proporzione ai capitali investiti. Come diceva Ivan Cicconi, è keynesismo alla rovescia; chi ci dice che le grandi opere servono a creare posti di lavoro, mente o non sa di cosa parla.

Il vuoto pianificatorio, infine, determina il contesto ideale per trasformazioni territoriali che non rispondono ad effettivi bisogni della popolazione, ma al soddisfacimento dei desiderata dei soggetti privati che costruiscono o gestiscono i trasporti. Urbanisti e trasportisti non elaborano piani di mobilità e sistemi infrastrutturali efficienti, ma ne mitigano le contraddizioni.

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