di Leonardo Botta

C’è voluto un pessimo governo uscente della Giunta regionale sarda a guida Solinas e un sindaco di Cagliari inviso alla maggioranza dei suoi concittadini (evidentemente per aver amministrato male il capoluogo), oltre naturalmente a una candidata di centro-sinistra tosta e credibile, per consegnare la regione Sardegna al cosiddetto campo largo (ma non larghissimo, vista la corsa solitaria dei centristi al seguito dell’immarcescibile Soru).

Hanno vinto Schlein, Conte e Fratoianni e, naturalmente, Alessandra Todde che nella prima intervista a Ottoemezzo ha annunciato che prioritariamente vorrà occuparsi, per la sua regione, di sanità pubblica. Ha perso Giorgia Meloni, che aveva rivendicato il predominante peso di Fratelli d’Italia nella coalizione, chiedendo la testa di Solinas e piazzando il fedelissimo Paolo Truzzu, pensando di potersi caricare sulle spalle tutto il peso di questa campagna elettorale. Ha commesso un errore, ci sta: è un politico molto scaltro, ma non è Margaret Thatcher (per dire, la Thatcher non si sarebbe mai avventurata in quelle ridicole pantomime recitate in falsetto a cui Meloni ci ha abituato ogni volta in cui prova a sfanculare gli avversari, come se fosse ancora all’opposizione e non al governo di questo paese).

Continua, intanto, la parabola discendente del peggior leader politico che io ricordi, quel Matteo Salvini buono (è ovviamente una mia opinione) solo a collezionar felpe: un altro paio di punti di calo nei consensi e credo che nella Lega finalmente si comincerà a prendere seriamente in considerazione l’idea di mandare il suo capitano sotto la doccia (Zaia e Fedriga comincino a scaldarsi).

Ma, attenzione: conseguenze di questo voto sul quadro politico italiano? Poche. C’è un cambio di clima politico nell’aria? Nemmeno: nel voto sardo la coalizione di destra-centro ottiene comunque la maggioranza dei voti di lista (49%). Insomma, il centro-sinistra è ben lungi dal completare il guado, e la luce in fondo al tunnel è ancora flebile. Soprattutto, resta sul tavolo l’irrisolta questione di quelli del cosiddetto terzo polo, che hanno stoicamente perseverato finora a rifiutare alleanze organiche con il Movimento 5 Stelle. Sono loro, insieme con Soru (sic transit gloria mundi) gli altri sconfitti di questa tornata elettorale che li condanna all’irrilevanza in Sardegna, stante la legge elettorale che, sotto il 10% dei voti di coalizione, non concede seggi nel consiglio regionale.

Al centro-sinistra mancano un po’ di attributi per rivelarsi, in vista delle prossime elezioni politiche (dalle quali ci separano tre anni e mezzo: un’era geologica!), competitivo. Lo sarà solo a determinate condizioni:

1) Che Azione e +Europa si rassegnino all’idea di turarsi il naso e fare squadra con gli odiati pentastellati, oltre che con l’Alleanza Verdi Sinistra (atteso che, almeno con il Pd, la compatibilità c’è): l’apertura post-voto di Calenda a un dialogo con il M5S, pur se “non a tutti costi”, è un buon segno. Do invece per persi Renzi e Italia Viva, in prospettiva più compatibili con la destra (in particolare con i centristi, soprattutto se e quando la coalizione di maggioranza comincerà a perdere consensi e avrà bisogno di un puntello) che con la sinistra.

2) Che si trovi un federatore modello Prodi 2.0, che per ora all’orizzonte non si vede. In alternativa la candidata premier resta Elly Schlein (a patto che passi indenne l’insidiosa tornata elettorale per le elezioni europee e che tenga a debita distanza, in termini di consenso elettorale, Conte e il M5S) che però è indigesta come una peperonata a buona parte dell’elettorato moderato di centro-sinistra.

In ogni caso si è rivelato finora fruttifero l’avvento della Schlein alla guida del Pd: con lei è stato molto più rapido, pur permanendo i noti problemi di coesistenza, il processo di alleanze con il M5S e con Avs di quanto lo sarebbe stato con Bonaccini leader; processo di alleanze che ora diventa elemento imprescindibile per le future battaglie politiche.

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