di Claudio Pirola

Il risultato elettorale della regione Sardegna offre interessanti spunti di riflessione.

Anzitutto la candidata. Persona libera, preparata e credibile, Alessandra Todde è riuscita a stravolgere ogni pronostico. Si è battuta con orgoglio per la sua terra in una missione che appariva impossibile convincendo, ogni giorno di più, un popolo che ha riconosciuto in lei qualità e determinazione. Parlando di contenuti, considerando problemi e proponendo soluzioni con sano realismo. Per una volta Conte e Schlein, insieme, hanno dimostrato in modo non invasivo di credere in un progetto sinergico che sa guardare avanti, creando le condizioni affinché si potesse affermare una candidata di valore che facesse sintesi al meglio di un’idea di alternativa costruttiva e come tale possibile, nella convinzione che il futuro vada ricostruito partendo dal territorio secondo schemi troppo spesso dimenticati da una politica che vive sempre più secondo interessi assai lontani dal cosiddetto “bene comune”.

La vittoria di Todde ha grande valore anzitutto per il popolo sardo, che ha dimostrato di saper ragionare con la propria testa. E assume un significato tutt’altro che trascurabile anche per la stessa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni la quale, con l’arroganza divisiva che la caratterizza, non ha trovato di meglio che fare passerella elettorale a favore del suo governo usando il candidato Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, non esattamente apprezzato dai propri concittadini e imposto dall’alto secondo una brutale sfida interna alla coalizione.

Nel contesto non passa inosservata la figura del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, da un lato sempre più incapace di fare “da ponte” tra i suoi elettori e il governo e dall’altro sempre più pressato dai Fedriga e Zaia di turno, che potrebbero scombussolare a suo danno gli equilibri ai vertici della Lega: un personaggio lontano anni luce da tante persone che con sacrificio e senso dello Stato vivono e difendono i valori della nostra Costituzione.

Vale infine la pena di notare il progressivo esaurimento del ruolo dei “centrini” sempre più ininfluenti sullo scenario politico italiano, il che aggiunge valore a riflessioni da tempo avviate sul ruolo del bipolarismo come prospettiva sempre più realistica.

Resta ora da chiedersi se il modello proposto in Sardegna – e rispetto al quale significative componenti interne della classe dirigente in particolare del Pd si sono sempre dimostrate scettiche – possa trovare attuazione in altri contesti. Al di là di ogni euforia di circostanza è ragionevole immaginare che l’esercizio vada fatto anche a livello nazionale, partendo da un confronto che metta al centro una ricerca di coesione sui tanti argomenti che la stessa Meloni sta indirettamente offrendo sul piatto: dalla sanità all’istruzione, dalla cultura al lavoro, dalla sicurezza al diritto di informazione, dalla giustizia al salario minimo solo per citarne alcuni.

Ci sarebbe da preoccuparsi se due forze oggi risultate con-vincenti non sapessero trovare ragionevoli punti di sintesi a favore dell’efficienza di un Paese che deve aspirare ad essere presidio di futuro, specialmente per tanti giovani che hanno in mente non solo di abitare ma di vivere, lavorare e investire in questo Paese in un clima di speranza, accoglienza e rispetto. Passaggi che difficilmente potranno essere sostenuti in assenza di un rinnovamento sostanziale della classe dirigente, di cui la stessa Todde è caso emblematico.

Dalla Sardegna un messaggio forte e chiaro è arrivato. “Abbiamo risposto ai manganelli con le matite” ha sostenuto con incisiva efficacia Todde. E c’è da augurarsi che non sia un caso isolato. C’è molta Storia da scrivere, con urgenza, ancorché coniugata al futuro. Per il bene dell’Italia.

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