“Adesione a non religioni”, “diffusione dell’ateismo”, “relazioni sessuali illecite”, “stregoneria”, “apostasia”, “adozione di idee liberali”. Sono solo alcuni dei “reati” cui, da un anno a questa parte, dà la caccia l’Agenzia per la sicurezza interna, i servizi di sicurezza che rispondono al governo di unità nazionale della Libia, basato a Tripoli. Nel maggio 2023 l’Autorità generale per gli affari islamici, un organismo religioso ufficiale di ispirazione salafita, ha emesso un decreto per combattere le “deviazioni religiose, intellettuali e morali”. L’Agenzia per la sicurezza interna si è messa al lavoro. Il suo mandato ufficiale: “proteggere la virtù e purificare la società”.

Ne hanno fatto le spese giovani donne e uomini, soprattutto appartenenti alla comunità amazigh – “colpevoli” di seguire la corrente religiosa ibadita – così come cittadini stranieri residenti in Libia.

Amnesty International ha esaminato i video di 24 “confessioni”, messi in rete dall’Agenzia per la sicurezza interna. Diciannove dei “rei confessi” sono tuttora in detenzione preventiva nelle prigioni tripoline di al-Ruwaimi e al-Jdeida, indagati per “relazioni sessuali illecite”, “promozione di idee o principi che intendono sovvertire l’ordine politico, sociale o economico dello Stato”, “blasfemia” e “apostasia”. Per alcuni di questi reati è prevista persino la pena di morte.

In uno di questi video, diffuso il 28 dicembre 2023, 14 persone – tra le quali quattro donne e una ragazza di 17 anni – si dichiarano “colpevoli” di “diffusione dell’ateismo”, “apostasia”, “adesione a non religioni”, “scambio di mogli” e “omosessualità”. In un altro video, risalente al 6 aprile 2023, si vede la “confessione” di un uomo di nome Sifaw Madi, che dichiara di essersi convertito al cristianesimo e di fare proselitismo. Accusato di “apostasia”, rischia la pena capitale.

I metodi d’indagine dell’Agenzia per la sicurezza interna sono sia brutali che subdoli: si va dall’arresto di familiari per costringere un ricercato a consegnarsi alla “giustizia” alla creazione e conduzione di chat per ottenere qualche dichiarazione compromettente. Le testimonianze arrivate ad Amnesty International sulla conduzione degli interrogatori sono agghiaccianti: violenza sessuale, pestaggi, altre forme di tortura, sospensioni in posizioni dolorose, scariche elettriche.

Un cittadino straniero, che ha chiesto di restare anonimo, arrestato a Tripoli, è stato tenuto in isolamento per una settimana. Lo hanno costretto a rivelare le password del suo cellulare e del suo computer. Quando usciva dalla cella per andare al gabinetto, il pavimento e le mura del corridoio erano sempre piene di sangue. Sentiva le urla dei detenuti sottoposti agli interrogatori. Poi, un giorno, si è presentato il direttore del Comitato centrale per la sicurezza dell’Agenzia per la sicurezza interna: hanno scorso insieme tutte le conversazioni su Whatsapp e i numeri di telefono sulla rubrica del cellulare. Alla fine, è stato incriminato per “cospirazione” e “spionaggio”. Gli è andata bene: lo hanno espulso.

All’inizio del 2024 il parlamento libico ha approvato una nuova legge che criminalizza la “stregoneria” e la “magia” con pene da 14 anni all’impiccagione. Altro lavoro in vista, dunque, per l’Agenzia per la sicurezza interna.

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